Il consumo intelligente di energia ha il potenziale per sostituirsi in parte alle grandi centrali termoelettriche. Anche nei ricavi.
Oltre 40 GW di potenza di nuove rinnovabili al 2030. Questo l’obiettivo del piano energia-ambiente italiano precedente all’aggiornamento dei target proposti dalla Commissione UE per la decarbonizzazione (ora più sfidanti: -55% di emissioni dannose per il clima rispetto al ‘90).
Stando al ritmo con cui i nuovi impianti vengono autorizzati, sarà dura centrare l’obiettivo.
E leggendo l’”Implementation plan” con cui l’Italia la scorsa estate ha chiesto (e poi ottenuto) il via libera a nuove aste del capacity market, si direbbe che l’obiettivo è reso ancora più oneroso dalla decisione di mantenere “quasi altrettanta” potenza da fonti di generazione termoelettrica rispetto a quella esistente. In altri termini, i nostri decisori pubblici, almeno basandosi su questo documento, non si aspettano che le pur tante rinnovabili vadano a sostituire in termini di potenza complessiva le centrali termoelettriche oggi effettivamente disponibili. Al contrario, secondo il piano le centrali a carbone (che nel 2025 devono chiudere) verranno sostituite da quasi altrettante a gas.
Per l’osservatore a digiuno di energia, questo potrebbe sembrare incomprensibile: si fanno le rinnovabili, ma anche nuove fossili?
Noi, che siamo smaliziati e sappiamo la differenza tra potenza ed energia, e sappiamo che oltre all’energia serve anche la certezza di disponibilità di capacità quando serve, siamo meno stupiti?
Davvero decarbonizzeremo senza rinunciare alla capacità di generazione fossile flessibile? È questa l’unica via?
Forse no, non dovrebbe essere questa. Perché esistono anche altre categorie di flessibilità.
Gli accumuli, naturalmente, i cui costi stanno esprimendo una tendenza in riduzione che potrebbe avere ancora molto potenziale.
Ma soprattutto esistono i clienti di energia. In primis quelli industriali, che gli accumuli possono realizzarli implicitamente rendendo flessibili i propri consumi.
L’interrompibilità non è certo un servizio nuovo, ma da noi è stata fino a oggi sostanzialmente riservata ai grandissimi consumatori. Le nuove tecnologie e la nuova figura dell’aggregatore, però, rendono ora possibile (grazie anche all’aggiornamento delle norme europee del bilanciamento delle reti lanciato nel 2017 e al successivo quarto round di direttiva mercato elettrico) partecipare ai mercati della riserva e del bilanciamento anche con apparecchi di consumo di medie o perfino piccole dimensioni.
Per questo, da ogni buon fornitore di energia per l’industria mi aspetto che operi anche nei servizi di aggregazione di flessibilità per collocarli sui mercati dei servizi di dispacciamento. Ciò che alcuni clienti hanno già sperimentato grazie alle “UVAM” diventerà in altri termini la norma, e si applicherà a servizi ulteriori.
Se reagire in pochi secondi a una deviazione di frequenza aiuta la rete, perché un consumatore che è capace di farlo non dovrebbe poter competere su questo con una grande centrale elettrica? A maggior ragione tenendo conto che quelle deviazioni da correggere tenderanno a essere sempre più distribuite anch’esse, essendo più distribuita la capacità di generazione rinnovabile non programmabile da bilanciare rispetto alle grandi centrali termoelettriche tradizionali.
Reagire in pochi secondi a un disturbo della frequenza potrebbe essere complesso o troppo responsabilizzante. Vero. A ben vedere, però, i gestori di rete pagano le centrali anche per reagire in tempi più lunghi. Attraverso prodotti di riserva meno pregiati, ma altrettanto necessari, che in qualche caso nemmeno richiedono un sistema di connessione automatico con il gestore della rete.
Esperienze di altri Paesi europei mostrano casi di successo nell’aggregare la flessibilità anche di numerosissimi clienti collegati alle reti di bassa tensione. In Francia, addirittura, la disponibilità a ridurre i consumi può essere venduta anche nel mercato dell’energia e non solo in quella dei servizi di dispacciamento. Ciò che è decisiva è la capacità del fornitore di servizi di aggregazione di permettere al cliente di avere i minimi disturbi alle sue esigenze di consumo, fino a predisporre sistemi integrati con i suoi processi in grado automaticamente di mettere a disposizione i servizi di riserva o bilanciamento quando questo non intralcia le esigenze del cliente. Anzi: le asseconda.
È vero: la decarbonizzazione ci lancia la sfida della flessibilità nei sistemi elettrici. Ma le tecnologie e le regole sono mature perché questa sfida venga colta da attori in parte nuovi: i clienti. Che dovrebbero chiedere al proprio fornitore, credo, non solo un prezzo ragionevole per l’energia. Ma anche – forse: soprattutto – di essere messi in condizione di vendere (sì: vendere, e vedersi quindi remunerati) la propria capacità di fornire flessibilità alla rete.