Nell’immaginario di tutti o quasi, credo, appare il concetto di mercato come “incontro tra domanda e offerta”. Mi vengono in mente i “compitini” (per qualche motivo chiamavamo così le prove scritte intermedie all’università, mi torna in mente ora) con esercizi di microeconomia in cui le due curve, domanda e offerta, andavano disegnate sulla base dei dati del quesito. Poi, uno si avvicina ai mercati elettrici e gli spiegano che la curva di domanda dell’elettricità almeno nel breve periodo è verticale: il cliente nel breve periodo ha bisogno di elettricità in una misura determinata da sue esigenze esogene non più modificabili. In altri termini, da un lato pagherebbe quasi qualunque prezzo per consumare, dall’altro di un calo del prezzo non saprebbe cosa farsene. Quantità nell’ascisse, prezzo nelle ordinate. Linea verticale: il prezzo non cambia la quantità domandata. Ma a pensarci bene è tutta una questione di tempi, no? Magari le mie esigenze di consumo sono sì tassative, ma lo sono nell’arco di un’ora, o dieci minuti, e uno spostamento del carico di cinque minuti non mi cambia nulla, perché mi sono dotato di accumuli. Ecco che allora la mia domanda di energia per quel lasso di cinque minuti diventa flessibile e la mia curva di domanda non più verticale. Faccio qui una scommessa: gli effetti della flessibilità e degli accumuli su come organizziamo, concepiamo, regoliamo il mercato elettrico andranno oltre la nostra immaginazione. Una cosa complicata del ragionare in termini di flessibilità è l’enorme impatto potenziale sui prezzi momentanei (“spot”) ricevuti da chi l’energia la produce. Il caso classico è quello dell’interazione tra fotovoltaico e batterie nella pianificazione degli investimenti. Se si fa tanto fotovoltaico senza batterie, i prezzi tenderanno a scendere nelle ore di sole (tanta offerta) e salire in quelle attorno al tramonto (meno offerta). Quindi c’è da un lato uno spread potenziale per remunerare le batterie, dall’altro un rischio di minore remunerazione per il fotovoltaico che si “accalca” nelle ore di sole. Ma cosa succede se si fanno tante batterie? Che quello stesso spread si riduce, il che fa contento chi produce da fotovoltaico, ma non chi investe in batterie, che si vede volatilizzare lo spread appena desiderato. Sembra la classica sparatoria western a due: vince chi si muove abbastanza velocemente da disincentivare (diciamo così, mi rendo conto che rispetto al mio paragone cruento è un eufemismo) il movimento dell’altro. E anche a livello diffuso le cose non sono meno complicate, anzi. Immaginiamo che io venga inserito in una comunità energetica condominiale. Quanto può rendermi installare una batteria nel mio soppalco? Beh: dipende da quali sono le chance di essere il solo o uno dei pochi a farlo. E quanto mi renderà il fotovoltaico sul tetto? Dipende da quanti altri lo avranno, e da quante batterie ci saranno. A meno che non ci siano forme di coordinamento preventivo, questa incertezza potrebbe paradossalmente fermare le mie decisioni (e sarebbe un errore!). (Per inciso: prevedo uno dei prossimi Nobel all’informatica – ok, non credo esista – a chi programmerà l’algoritmo per fare previsioni di prezzi e dispacciamento interni a una comunità energetica). Erano meno complicate le cose prima che quello elettrico diventasse un mercato diffuso? Decisamente. Con molte meno fonti rinnovabili non programmabili, era prevedibile che di giorno ci fosse carenza di energia e necessità di usare tutte le importazioni e i pompaggi e di notte fosse possibile usare le importazioni per ricostruire gli stock di acqua a monte dei pompaggi. Ma non c’è davvero motivo di rimpiangere quei tempi: tempi in cui l’Italia generava energia perlopiù da olio combustibile o comunque da centrali scarsamente efficienti che a malapena bastavano alla punta di consumo. Tempi in cui non c’era un’agenzia indipendente a monitorare la qualità del servizio ai clienti e non si poteva dire a un fornitore insoddisfacente: “Occhio, ché vado da un altro”. Di come i tempi siano cambiati ce lo dice anche l’invenzione di un termine che nel vecchio mondo elettrico non si usava: la “domanda residuale” (Vd. animazione). Che cos’è? È quella domanda di elettricità che risulta in ogni momento dalla differenza tra domanda dei consumatori e produzione da fonti rinnovabili non programmabili. Perché è rilevante? Perché ci dà la dimensione di quella parte di domanda che dev’essere servita da produzioni con costi variabili e quindi in grado di far emergere un prezzo nei mercati. Che si chiami “residuale” l’elettricità diversa da quella delle rinnovabili mi sembra una bella evoluzione anche semantica, no? Ecco: i mercati elettrici attuali li abbiamo disegnati su ciò che oggi chiamiamo “residuale”. Un indizio che ci dice, credo, che dobbiamo prepararci a novità.