Chi è del settore elettrico avrà probabilmente visitato il centro di controllo della rete di Terna in via Palmiano a Roma: la stanza in cui uno schema dell’intera rete di trasmissione nazionale avvolge un gruppo di operatori dietro ai rispettivi monitor.
Ogni gestore di rete di trasmissione (TSO) di elettricità o gas ha un centro del genere, e il loro fascino deriva proprio da come essi esemplificano la capacità di controllo non solo degli interruttori o valvole o regolatori vari della rete, ma anche (per la rete elettrica) delle centrali flessibili di terzi in grado di ricevere comandi in tempo reale e che hanno il dovere (perlopiù remunerato) di reagire per stabilizzare la rete modificando la propria potenza.
Perderà rilevanza l’affascinante stanza tecnologica di via Palmiano? Probabilmente sì, o meglio: rappresenterà un aspetto sempre più parziale e aggregato di ciò che conta per il sistema elettrico. Perché sempre più di quella flessibilità di cui il sistema ha bisogno, come abbiamo visto in puntate precedenti di questa rubrica, arriverà da fuori dall’ambito di quei pannelli visibili nella sala di controllo. Arriverà cioè da siti di consumo perlopiù connessi fuori dalla rete di competenza di Terna, cioè nelle reti di distribuzione locale.
In Francia e Belgio, per fare un esempio, già da un po’ gestori di reti di distribuzione e di trasmissione cooperano – dividendosi i compiti – per integrare i servizi di flessibilità distribuiti da parte di apparecchi connessi alle reti cittadine. I distributori assicurano alcuni aspetti del monitoraggio e del dispacciamento locale, ma anche dei rapporti commerciali con i fornitori locali di flessibilità soprattutto riguardo ad allacciamenti e monitoraggio, mentre i TSO vigilano sul bilanciamento complessivo della rete e gestiscono le partite economiche con gli aggregatori.
E cambierà, anzi sta già cambiando, anche la logica con cui le prestazioni della flessibilità verranno verificate. Se poche grandi centrali possono e devono essere controllate in tempo reale e con strumenti tali da permettere una reazione istantanea o quasi a un loro eventuale default nel fornire il servizio quando richiesto dal TSO, tanti piccoli fornitori di flessibilità possono essere controllati con una logica statistica e meno sincrona, facendo in modo che la prestazione cumulata fornita dall’operatore che li aggrega sia sì controllata e affidabile, ma senza che necessariamente debba esserlo allo stesso livello la prestazione di ogni singolo punto di fornitura. In modo simile, quando a fornire flessibilità sono numerosi piccoli siti, è spesso inefficiente pretendere forme di reportistica e infrastrutture di connessione dedicate come avviene con le grandi centrali.
Esempi interessanti di questo sono, ancora, la Francia, dove non solo da anni la demand response può vendere impegni di minori consumi (richiesti dal gestore di rete) anche sul mercato dell’energia oltre che in quello della flessibilità, ma le prestazioni su questi mercati sono valutate ex post dal gestore di rete, anche a campione, con un conseguente aggiustamento (derating) della capacità che in futuro gli stessi aggregati potranno effettivamente vedersi remunerata rispetto al valore nominale offerto. Una sorta di meccanismo a premi e disincentivi per rivelare le prestazioni di un portafoglio di demand response.
In Olanda, il TSO ha previsto protocolli di comunicazione addirittura via mail (automatiche) con aggregatori di piccoli impianti, anziché costose reti telematiche dedicate, ritenendo che richieste molto più complesse creino barriere all’entrata con effetti netti negativi per il sistema (meno flessibilità utile e affidabile acquisita).
L’Italia è più indietro, con un atteggiamento di Terna più massimalista che, se da un lato è coerente con il suo compito di garanzia della sicurezza del sistema, dall’altro è lento ad accogliere soluzioni destinate a diventare presto più efficienti e a un certo punto indispensabili (un esempio è la riserva primaria – Frequency Containment Reserve secondo le nuove definizioni europee – in Italia prevalentemente non remunerata e non fornibile da risorse diffuse, in altri mercati europei come Germania, Olanda, Belgio, già approvvigionata tramite aggregatori). Questo massimalismo comporta il rischio molto verosimile di ritardare lo sviluppo della demand response e rendere il nostro sistema più costoso e meno resiliente nel medio periodo.
Anche il nostro capacity market, di cui sta per essere messo in consultazione un aggiornamento per l’asta dell’anno 2024 (e successivi 15 per gli impianti nuovi) è ancora poco amico della demand response, che viene sì remunerata in termini di mancato pagamento della fee del capacity stesso, ma non considerata come un’infrastruttura passibile di remunerazione di lungo termine, e, sostengono aziende di aggregazione, soggetta a meccanismi di nomination sfavorevoli.