Siamo nel bel mezzo di una transizione energetica epocale. Lo sappiamo ormai bene: dobbiamo emanciparci dalle fonti fossili (in particolare carbone, petrolio e in seconda battuta gas naturale). Non si tratta di fronteggiare la scarsità di tali fonti, che tuttora contribuiscono in maggioranza all’energia primaria, ma siamo chiamati a ridurne le emissioni contrastando, e magari fermando, il cambiamento climatico che queste hanno indotto. Nei decenni scorsi, avendo certamente poca evidenza dei futuri problemi ambientali, si era invece temuto di essere prossimi al picco di disponibilità di tali risorse. Un secolo fa addirittura “si eresse improvvisamente lo spettro minaccioso di una futura carestia di carbone”, come scrive Hanns Günter nel saggio del 1934 “Fra cento anni”. L’autore si dispiaceva di tale previsione poiché “il carbone come combustibile e materia prima ha una parte essenziale nell’economia di ogni angolo della Terra”, mentre “un mondo senza carbone è a mala pena immaginabile”! Tuttavia alcune soluzioni sarebbero state allo studio e una in particolare attirò l’attenzione del saggista, pur non celandone riserve e perplessità. Si trattava del progetto dell’ingegnere tedesco Soergel che ipotizzò di chiudere con una diga lo stretto di Gibilterra, creare un abbassamento del livello del Mediterraneo e sfruttarne il dislivello per alimentare gigantesche centrali idroelettriche. La ritirata delle acque, causate dall’evaporazione non compensata dall’apporto delle masse oceaniche, avrebbe inoltre ampliato la superficie terrestre a disposizione per nuove attività agricole. Si pensò quindi a una transizione energetica verso una fonte rinnovabile, per quanto non si poté neppure allora sminuire il potenziale impatto ambientale di un siffatto intervento, ammesso che fosse tecnicamente fattibile. Di certo un vantaggio collaterale era evidente: non ci sarebbe stato più bisogno di progettare un ponte sullo stretto di Messina!
Una transizione energetica ante litteram
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