La domanda di automobili condivise in Italia, in termini di chilometri noleggiati, non smette di crescere da quando l’Osservatorio della sharing mobility (di Fondazione Sviluppo Sostenibile, MiTE e MIT) traccia questo dato, che nel 2019 si è attestato a oltre 12 milioni. Tanti? Direi di no, rispetto al potenziale di una domanda oggi costretta a una flotta di auto condivise che nel 2019 non raggiungeva ancora le 2500 unità in tutto il Paese, con addirittura una piccola flessione delle auto disponibili in “free floating” cioè in sistemi di sharing che non obbligano a riportare il veicolo in un determinato punto ma semplicemente all’interno di un’area di operatività.
Al di là del piacere anche tecnologico di veder sbloccarsi una portiera alla sola attivazione di una app sul telefonino, la mobilità condivisa è una clamorosa opportunità di efficienza nell’uso dello spazio urbano perché riduce le auto non utilizzate in sosta e gli spostamenti di mero riposizionamento dell’auto privata (quante volte preferiremmo lasciare la nostra auto dove l’abbiamo parcheggiata e tornare con un altro mezzo? Con il car sharing free floating si può).
Le congestioni urbane sono molto dannose per la collettività. Comunque lo si calcoli (reddito mancato o anche solo perdita di qualità della vita) il tempo perso nel traffico costa caro. Inrix stimava in 34 miliardi di $ (trentaquattro miliardi, non è un errore) il danno economico del tempo perso nel traffico di New York nel solo 2017. E gli effetti sulla salute non si limitano a quelli dovuti all’esposizione prolungata agli inquinanti generati dallo stesso traffico: per esempio, uno studio del’American University di Beirut di pochi anni fa ha accertato su un campione significativo che restare imbottigliati aumenta notevolmente la pressione del sangue.
Tornando all’Italia, l’Osservatorio citato sopra porta anche numeri clamorosi in termini di età media del parco auto circolante privato e shared: il primo in media oltre dieci anni più vecchio del secondo e con un’incidenza di veicoli Euro 6 di meno di un quarto contro del totale rispetto alla quasi totalità nel secondo.
Partendo da questo, immaginiamo come i vantaggi in termini di salubrità dell’aria (oltre 60 mila morti all’anno per inquinamento nelle città italiane secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente) e di cambiamenti climatici vengano ulteriormente e drasticamente aumentati dal fatto che una flotta shared sia anche elettrica.
Vantaggi complessivi tali da rendere più che ragionevole considerare il car sharing senza emissioni inquinanti come un bene di pubblica utilità, sia per gli effetti diretti appena descritti sia per le forme di emulazione e innovazione che può stimolare nei suoi utilizzatori (un modo diverso di organizzare la propria logistica, la possibilità di provare veicoli elettrici e sperimentarne le qualità).
Vantaggi pubblici notevoli, a fronte di un impegno e di costi generali non indifferenti per chi gestisce le flotte.
Eppure, tra le pochissime iniziative di car sharing completamente elettrico viste in Italia, ne spiccano due completamente private e da parte di aziende senza partecipazioni pubbliche, come Share’n’Go, purtroppo messa in difficoltà dalla scarsa civiltà di utilizzatori sporadici (mentre quelli affezionati difficilmente creano problemi), dallo scarso aiuto istituzionale, e infine, con esito esiziale, dal Covid.
L’altra, invece, per fortuna, sta crescendo in fretta, si chiama Elettra ed è una creatura di Duferco Energia a Genova, conta su una flotta Volkswagen sia di city car sia di auto compatte (quindi auto e non microcar, adatte anche all’uso extraurbano e con tutta la sicurezza passiva e attiva conseguente) alcune delle quali free floating, più adatte all’uso strettamente cittadino, altre “station based”, cioè con ritiro e restituzione in luoghi dedicati.
Questa e altre iniziative fanno ben sperare per il futuro e la bellezza delle nostre città, soprattutto quelle oggi più congestionate.
Ma non credo che sia socialmente razionale lasciarne gran parte dell’impegno e del rischio ai soggetti privati che vi investono. È vero che i Comuni aiutano permettendo la sosta in area blu gratis e eccezionalmente, nel caso di Genova, l’uso delle corsie bus, a sottolineare giustamente il valore pubblico di lasciare a casa la propria auto e di non accendere un motore endotermico. Ma forse non basta. Forse il danno al nostro benessere da parte del traffico privato convenzionale meriterebbe un sistema di incentivi/disincentivi molto più discriminante a favore della nuova mobilità.