di Michele Governatori
Michele Governatori è autore di Derrick Energia, un canale informativo su
energia e ambiente sull’omonimo blog e su Radio Radicale.
“Se costa poco, vale poco”.
“Se costa poco, finisce che lo sprechi”.
“Se è essenziale per i consumatori, deve costare poco”.
“Se è essenziale per i consumatori, deve costare abbastanza da assicurare che qualcuno ci investa per continuare a produrlo”.
Quante se ne sentono sul prezzo dei beni? Affermazioni a volte contraddittorie e che pure colgono aspetti rilevanti della nostra esperienza o delle interazioni economiche.

Per Adam Smith, almeno dal punto di vista degli economisti neoclassici che gli sono succeduti, il prezzo è uno strumento fondamentale perché i beni vadano da dove possono essere prodotti nel modo più efficiente a dove servono di più, cioè perché la “mano invisibile” del mercato funzioni.

Però gli stessi economisti hanno studiato molti casi in cui non bastano i mercati a far venire fuori un prezzo “giusto” per i beni, dove per giusto s’intende che faccia sì che grazie allo scambio si raggiuga un risultato complessivamente più desiderabile rispetto alla mancanza di scambio tout court.

Uno stesso prezzo può essere razionale nel breve periodo e insostenibile nel lungo. Per esempio: se scambiamo l’elettricità nella borsa oraria, i produttori avranno interesse a produrla a un prezzo anche di un epsilon superiore al costo del combustibile, se lo sostengono. Perché un centesimo di margine è sempre meglio che niente. Ma nel medio periodo se non fanno abbastanza margine non pagano il mutuo (cioè i costi fissi) e falliscono, tanto da rendere in seguito l’energia più scarsa e costosa. Nel lungo periodo, infatti, il prezzo sostenibile è quello che ripaga tutti i costi della produzione, cioè il costo medio complessivo, non solo quello marginale.

Piccolo dettaglio: il lungo periodo, ops, non esiste. Nel senso che noi viviamo nel presente e facciamo scelte legate perlopiù agli incentivi momentanei. A meno che qualche regolatore non inserisca regole (lungimiranti, nelle intenzioni) per alterare il prezzo rispetto alle dinamiche competitive di breve periodo.

A questo proposito: pensiamo alle royalty che gli Stati fanno pagare ai concessionari di estrazione delle energie fossili. Perché esistono queste royalty? Esistono perché i Governi hanno sempre bisogno di soldi? Anche, ma c’è una ragione più legata al benessere pubblico: le royalty esistono perché se i concessionari di estrazione di risorse minerarie avessero interesse a venderle per coprire i soli costi di estrazione il sistema economico non terrebbe conto della perdita di capitale (la risorsa mineraria appunto) per le generazioni future. Per questo viene loro attribuito un disincentivo artificiale.

E sempre a proposito di prezzi e scelte intertemporali: in un paper del 2008 di cui secondo me coglieremo presto tutta la rilevanza, l’economista Hans-Werner Sinn nota che, paradossalmente, se i regolatori pianificano di disincentivare in modo crescente nel tempo un consumo i cui danni non vengono considerati spontaneamente dai soggetti economici, e lo fanno inserendo una componente artificiale del prezzo (per esempio una carbon tax) destinata a crescere, l’effetto potrebbe essere quello di indurre i consumatori ad anticipare quel consumo, accelerandolo e vanificando quindi le intenzioni del regolatore stesso. Un bel guaio.

Quale prezzo è giusto è una questione molto, molto complicata.

Perché richiede di rispondere a domande tra cui: sostenibile per chi? (Per chi produce? Per chi consuma? Per gli effetti anche sul resto della società?). Sostenibile per un giorno o per una fornitura di anni? E nella sostenibilità economica dobbiamo includere le generazioni future? O addirittura aspetti non umani, per esempio la biodiversità? E magari dobbiamo anche tenere conto del tipo di investimenti che il prezzo stimola nel consumatore? (C’è letteratura empirica che mostra una price-driven competitiveness, cioè che pagare caro i fattori produttivi alla lunga ci rende capaci di usarli meglio, e quindi ci rende alla fine più competitivi. Sempre che sopravviviamo. Un paradosso?). A scanso di equivoci, no: non sto dicendo che mi diverto a pagare tanto le cose, e sapete perché? Perché vivo nel breve periodo!

Se poi il bene di cui parliamo ha caratteristiche tipo:

  • è per certi versi immateriale
  • ha costi marginali sempre meno rilevanti
  • richiede grandi investimenti di capitale, anche di sistema come quelli per le reti
  • comporta una volatilità potenziale che può trasformarsi essa stessa in un costo
  • ha molte interazioni con la sostenibilità ecologica

in altri termini: se quel bene si chiama energia, allora le cose si complicano ancora di più.