di Michele Governatori
Michele Governatori è autore di Derrick Energia, un canale informativo su energia e ambiente sull’omonimo blog e su Radio Radicale.
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Cosa diavolo è la speculazione? È pieno di politici e intellettuali che la esecrano. Soprattutto se si tratta di “speculazione finanziaria”.

Credo che la parola speculazione venga da “specola”, osservatorio, luogo da cui si cerca di vedere lontano. I dizionari definiscono speculazione, in economia, l’attività tesa a trarre vantaggio dalla previsione del valore futuro di un bene (attività che, per inciso, può andar bene o male, cioè far guadagnare o perdere chi la fa) e, in senso esteso, i dizionari definiscono speculazione lo svolgimento di questa attività senza scrupoli.

Una cosa aborrita da tanti ma che quei tanti (provare per credere) difficilmente sanno definire con precisione. Speculatore è forse uno che bada al suo tornaconto economico? Se è così chiunque di noi è uno speculatore in tanti frangenti: quando fa la spesa e cerca gli sconti, quando prova a vendere una casa al massimo possibile e comprarla al minimo.

Non ho mai sentito nessuno prendersela con la speculazione di uno che compra un bene che gli serve cercando di pagarlo il meno possibile. Ma se uno compra qualcosa per rivenderlo e farci una differenza, allora rischia la bolla di speculatore. Come mai?

Non riesco a dimenticare un’audizione al Senato di tanti anni fa in cui un parlamentare auspicò che i sussidi alle fonti rinnovabili d’energia venissero in futuro attribuiti meno a operatori “speculativi” e più ai produttori-consumatori.

Quesito: se ottengo un sussidio per pescare, sono più speculativo se rivendo il pesce piuttosto che se lo uso nel mio ristorante? Nella posizione di quel senatore è implicita la risposta affermativa. E forse anche in molta dell’opinione comune.

Si tratta, a ben vedere, di un’avversione per il denaro più che per il tentativo di ottenere per sé le condizioni economiche migliori possibili.

E se c’è avversione per il denaro, figuriamoci per la finanza.

In entrata al Consiglio UE energia di fine settembre, un “non-paper” della Commissione UE ha auspicato che si usi come riferimento per le transazioni di gas naturale non più la borsa olandese TTF (che è una borsa di derivati sul gas) bensì un indice di mercato “transaction-based”.

Anche i tecnocrati della Commissione, insomma, sembrano soccombere alla colpevolizzazione della speculazione e della finanza nell’attuale prezzo del gas.

Un fenomeno simile a quello di questa crisi era avvenuto prima della crisi finanziaria del 2008, quando i future sul petrolio andarono alle stelle in un contesto di scarsità di capacità produttiva. Gli operatori economici con necessità di petrolio preferivano bloccare il prezzo a termine a valori molto alti rispetto al rischio di pagarlo poi ancora di più, e così alimentavano le stesse aspettative di incremento. Una sorta di acquisto di panico che potrebbe avvenire anche in assenza di qualunque abuso di mercato.

Tant’è che la stessa amplificazione di volatilità dei future rispetto al sottostante può avvenire al ribasso, e anzi è avvenuta nella prima settimana di ottobre quando il TTF è sceso anche sotto 90 €/MWh, un prezzo sempre alto rispetto al pre-crisi ma pur sempre 1/3 dei picchi più alti della crisi.

Forse la “speculazione” ha una grande utilità: quella del capro espiatorio da chiamare in causa quando i prezzi sono alti, e da dimenticare quando scendono.