di Michele Governatori
Michele Governatori è autore di Derrick Energia, un canale informativo su
energia e ambiente sull’omonimo blog e su Radio Radicale.
In seguito allo shock dei prezzi dell’energia, la politica ha ipotizzato di rivoluzionare il modo con cui i prezzi si formano sul mercato, al fine di evitare che il prezzo marginale, cioè quello che serve per acquisire l’ultimo MWh necessario a servire la domanda, condizioni anche quello dell’energia che ha costi inferiori. In particolare, ci si è chiesti se non ci sia un disegno dei mercati che possa far sì che le fonti rinnovabili (che hanno costi variabili di produzione generalmente nulli se si escludono le biomasse e l’idroelettrico a bacino) vendano la propria energia ai propri costi medi, cioè quelli che permetterebbero per definizione di pagare tutti gli oneri e di affrancare i propri clienti dalla volatilità del prezzo delle energie fossili. Quali sono le barriere a un funzionamento duale di questo tipo? Sono diverse, e tra le più critiche vedo le seguenti:
  • A meno che il profilo di consumo e di produzione da una fonte (che vende a prezzo medio) non coincidano, si deve comunque ricorrere per le differenze a energia comprata sui mercati spot o addirittura del bilanciamento, prodotta con tecnologie oggi tipicamente ancora fossili e in generale caratterizzate da elevati costi variabili (anche solo costi-opportunità) di attivazione. Il prezzo del gas, quindi, finisce per rientrare nella bolletta finale.
  • Finché le fonti rinnovabili non sono sufficienti alla fornitura di tutta la domanda, e quindi finché c’è una competizione potenziale dei clienti per acquisirne l’energia, non c’è un motivo per cui queste fonti dovrebbero vendere a un prezzo che cancella ogni loro margine di profitto. Una soluzione a questo punto potrebbe essere il passaggio a prezzi completamente amministrati, cioè politici, ma ciò richiederebbe innovazioni radicali al funzionamento – oggi basato sul mercato – dell’industria della generazione elettrica.
La consultazione della Commissione UE di revisione del mercato elettrico europeo all’ingrosso, nella sua lista interminabile di domande su possibili innovazioni, sembra suggerire un approccio perlopiù di conservazione del mercato come funziona ora e propone come strumenti per ottenere il risultato desiderato (cioè più energia da impianti inframarginali venduta a prezzi che si avvicinino a quelli medi della tecnologia stessa) soprattutto questi:
  1. Sviluppo dei mercati a termine
  2. Contratti di cessione a lungo termine dell’energia (PPA)
  3. Contratti finanziari di fissazione a lungo termine del prezzo dell’energia prodotta da un impianto (CFD)
  4. Forme di limitazione (financo retroattive) dei margini sul mercato per i produttori i cui costi marginali sono tipicamente più bassi di quello di fissazione del prezzo di breve periodo (le cosiddette norme sugli extraprofitti)
  5. Sviluppo delle alternative al gas per il bilanciamento delle reti e il complemento alle rinnovabili.
Nei tanti quesiti, la Commissione si chiede quindi quali innovazioni alle regole dei mercati energia potrebbero farsi per facilitare questi macro-strumenti. Non ho la pretesa di commentare l’intero documento, ma mi sembrano interessanti alcuni collegamenti tra le linee di intervento ipotizzate e l’impostazione della regolamentazione italiana già in corso: Uso di CFD per fissare il prezzo delle rinnovabili I contratti per differenza sono da tempo usati come sistema di incentivo alle rinnovabili in Italia (le cosiddette aste FER) e stanno oggi funzionando da calmiere restituendo allo Stato la differenza tra un prezzo all’ingrosso ancora ben sopra i 150 €/MWh e uno target attorno a 70 €/MWh nelle principali aste già svolte. Capacità dei PPA di fissare il prezzo ai clienti finali legandolo ai costi medi delle rinnovabili Superare il punto 1) citato sopra è fondamentale per rendere possibile l’uso dei PPA per effettivamente isolare un cliente di energia da fonti rinnovabili dagli effetti di fluttuazione del prezzo del gas. Dunque: come “accoppiare” attraverso un contratto di lungo termine una fornitura retail a un impianto rinnovabile che ha un profilo di produzione in parte imprevedibile e quindi non perfettamente aderente a quello di consumo? Una risposta potrebbe essere associare al PPA adeguati certificati di capacità di storage che permettano le correzioni di profilo necessarie. Questi certificati possono essere relativi a capacità fisica di stoccaggio (da varie tecnologie) sviluppata in una logica di competizione e poi remunerata con meccanismi pubblicistici in modo simile a capacity market. Rendere liquida e accessibile la capacità di stoccaggio (e quindi di time-shift dei carichi elettrici) potrebbe abilitare anche per venditori di energia senza accesso né a impianti FER né a stoccaggi di emanciparsi comunque del tutto dal prezzo del gas. Anche su questo filone, che io ritengo fondamentale, l’Italia è ben posizionata, visto che ARERA ha già svolto una consultazione sulle aste di capacità di stoccaggio e che una sua proposta in materia è in attesa dell’OK UE in termini di disciplina di aiuti di Stato. Forse la Commissione UE sta cercando di ricondurre l’ansia di soluzioni radicali a una più ragionevole revisione dello stato di avanzamento della costruzione di un mercato integrato europeo dell’energia che vada oltre i mercati del giorno prima. Non sarà facile, perché politiche industriali e fiscali, tanto per citarne due, sono ancora perlopiù affidate alle scelte degli stati membri. Ma credo sia la soluzione più razionale.