Quante volte abbiamo letto titoli tipo: “le vendite in borsa [o nel mercato immobiliare, o dove volete] superano gli acquisti” (o viceversa). Oppure: “rischiamo l’oversupply” o “il razionamento”?
Eppure – sorpresa – il numero di vendite e di acquisti in un mercato per definizione si equivale, almeno finché le transazioni si fanno con due controparti.
Un vecchio standard jazz s’intitola “Two to tango” (lo tradurrei in: bisogna essere in due per ballare il tango) e ce n’è una versione strepitosa e classicissima in cui il grande saxtenorista Lester Young (amico e partner musicale di una vita di Billie Holiday) addirittura la canta anche (https://www.youtube.com/watch?v=k3XR9RmSVew). [Confesso che questa digressione si deve all’afflato emulativo rispetto a quelle che fa spesso Franceso Lepre in questa rubrica].
Ma torniamo a noi. Quel che ho appena scritto non significa, naturalmente, che non ci siano fasi di mercato in cui effettivamente di un bene ce n’è tendenzialmente troppo o poco. Tuttavia, ricordarci che le transazioni si fanno in due ci ricorda a sua volta che c’è in realtà un terzo partecipante: una mano. Non quella della famiglia Addams bensì del vecchio Adam Smith, certo non un intellettuale particolarmente di moda oggi, che teorizzò la capacità dei mercati, attraverso il segnale di prezzo, di far sì che, per quanto un bene possa essere temporaneamente scarso o abbondante, se il mercato funziona troverà un prezzo per cui le due parti saranno disponibili a scambiarsi il bene senza che alcuna delle due sia costretta a farlo (o a non farlo).
Tutte banalità? Forse. Ma faremmo bene a ricordarcele, queste banalità, quando osserviamo, per esempio, una politica della sicurezza energetica tutta orientata a evitare “razionamenti” di gas senza tenere in conto – o non abbastanza – la mano invisibile del prezzo.
Se l’Europa non ha razionato il gas nel 2022 dopo l’invasione russa e le sue conseguenze, quasi interamente non si deve ad alcun nuovo asset di trasporto (perché non si era fatto in tempo a costruirne nel 2022 salvo pochissime eccezioni), bensì al fatto che il mercato, grazie a un prezzo in grado di muoversi drammaticamente nel breve periodo, ha selezionato quali clienti in effetti fossero disposti a pagare di più e quali potessero rimandare o rinunciare ai consumi.
Il razionamento ci sarebbe stato sì, senza un mercato. E sarebbe stato affidato a chissà quali regole inevitabilmente opinabili e probabilmente distorsive.
Prevengo a questo punto una giusta e rilevante obiezione: possiamo permetterci che un bene essenziale venga privato a soggetti potenzialmente deboli che non si possono permettere di pagare i prezzi di scarsità?
Certo che no. Per questo esistono gli Stati. Per questo siamo una civiltà almeno in questo evoluta: esistono le tasse, esistono forme di welfare e di protezione che permettono di trasferire risorse, ragionevolmente, per esempio a chi ha bisogno di gas per riscaldarsi quanto basta. Il che si può fare senza impedire alla mano di segnalare ai consumatori quanto vale in un determinato momento il valore scambiato.
Mi sembra che queste considerazioni dovrebbero guidare anche l’approccio alla questione (falsamente dicotomica) tra prezzo marginale e prezzi bilateralmente stabiliti nel lungo termine per l’energia (per esempio con i contratti per differenze o con i cosiddetti power purchase agreement). Infatti, se questi ultimi sono benvenuti per stabilizzare le bollette, il primo serve per regolare complessivamente la disponibilità della materia prima e fare in modo che, tutto considerato, il tango si possa comunque ballare.