Quanti di noi non riattaccano il telefono, nel migliore dei casi con la dovuta cortesia, quando arriva l’ennesima chiamata commerciale su una fornitura d’energia, che a volte dichiara anche di provenire dal nostro fornitore? Quasi sempre si tratta di millantatori che lavorano per agenzie di procacciamento di clienti e quasi sempre, purtroppo, le motivazioni con cui cercano di convincerci a sottoscrivere un nuovo contratto sono inaccurate o addirittura tendenziose e palesemente scorrette: cambiamenti strani “nel contatore” (che non dovrebbe essere in nessun caso affare di un venditore) o adeguamenti “delle bollette” che sempre richiedono azioni urgenti per le quali abbiamo la fortuna di essere al telefono con l’operatore.
Il risultato di anni di queste tecniche di vendita è una disaffezione e una perdita di fiducia da parte dei clienti rispetto ai fornitori. Non sarà facile recuperarla. E si deve probabilmente a questa diffidenza se la fine della cosiddetta tutela riceve più criticismo che favore da chi oggi ne usufruisce.
E invece, la fine della tutela è una buona notizia per la concorrenza, per almeno tre motivi:
- Perché nel settore elettrico la fornitura del servizio di tutela è stata attribuita senza alcuna forma di contendibilità ai monopolisti della distribuzione che – secondo l’antitrust – in alcuni casi rilevanti ne hanno approfittato per avere indebiti vantaggi nella vendita sul mercato libero. (Un altro momento fondamentale per la contendibilità dei mercati sarà la scadenza delle concessioni di distribuzione prevista nel 2030).
- Perché un coinvolgimento anche dei clienti meno avventurosi nella scelta attiva del fornitore potrebbe contribuire a rendere più matura la concorrenza premiando, speriamo, i fornitori più corretti anche oltre all’orizzonte di un contratto di 1-2 anni.
- Perché sul mercato, avendo voglia di darsi da fare, si può risparmiare scegliendo i momenti giusti per esporsi o non esporsi alla volatilità del prezzo spot della materia prima. E visto che generalmente i clienti sembrano preferire il prezzo fisso, l’elemento critico diventa quando fissare il prezzo.
È chiaro che tutto ciò chiede un po’ di attenzione e reattività. Ma l’arrivo di un’armata di clienti meno dinamici dovrebbe anche stimolare l’offerta di pacchetti in grado di automatizzare una parte del loro lavoro, per esempio attraverso la predisposizione di sistemi di demand response e di controllo intelligente dei carichi per risparmiare sul corrispettivo di potenza e, quando arriveranno i prezzi dinamici, per lucrare sulla loro volatilità.
E a proposito di clienti pigri: cosa succede a chi non si decide nemmeno ora a scegliere un fornitore? Nulla di male: andrà sul mercato libero in un modo graduale. Inizialmente servito, nel caso dell’elettricità, da chi avrà vinto gare ARERA la cui variabile competitiva sarà l’economicità dei parametri di una fornitura strutturata in modo standard. Nel caso del gas, invece, dove la fornitura in tutela già oggi non è prerogativa dell’ex distributore locale ma può essere erogata da qualunque venditore, chi non sceglie sarà inizialmente servito dallo stesso fornitore in modalità “Placet”, cioè con una struttura standard di prezzo del tutto simile alla tutela.
Cosa succederà alla fine del periodo di transizione? Atterreremo in un nuovo equilibrio basato su una ritrovata fiducia verso i fornitori, oppure assisteremo ancora in molti casi ai cicli di prezzi civetta-variazioni unilaterali e successivo cambio di fornitore? E ancora: accetteranno i clienti che il costo dell’energia, che rappresenta la sua scarsità, possa variare anche molto tra un’ora e l’altra per incentivare curve di consumo che favoriscano l’economicità e la sicurezza del sistema?