Quando il gas è arrivato a oltre 300 €/MWh nella prima estate dopo l’invasione dell’Ucraina, a molti sembrava che pagare qualunque cifra per poterlo importare da luoghi alternativi alla Russia fosse l’unica strada possibile. In parte era giustificato, ma alcuni paesi europei si sono un po’ fatti prendere la mano con la costruzione contemporanea di nuovi porti del gas proprio mentre i clienti, come abbiamo già visto in questa rubrica, reagivano ai prezzi alti consumando meno e attrezzandosi a farlo anche in futuro grazie a investimenti in efficienza e fonti rinnovabili.
Anche l’Italia sta approntando due nuovi punti di approdo per navi gasiere e si accinge a costruire un corridoio di trasmissione sud-nord capiente come mai in passato. E lo fa mentre il suo fabbisogno di gas è il più basso da quando ne esiste un mercato moderno. Per trovare consumi ridotti come nel 2023 occorre risalire al 1997, mentre il massimo dei volumi è stato toccato nel 2005.
D’altra parte, l’infrastruttura non si dimensiona sui flussi annuali, bensì sulle esigenze di punta, così come un’autostrada non può andare sistematicamente in crisi con i flussi dei weekend (né, all’estremo opposto del ragionamento, può essere progettata sulle necessità dei giorni di bollino nero di Ferragosto). Ma anche tenendo in conto questo, si nota la divaricazione tra i trend di consumo e quelli degli investimenti in infrastrutture. Infatti, oggi rispetto ai tempi del record italiano dei consumi abbiamo più stoccaggi nazionali di gas, che servono proprio a fornire capacità di punta, così come abbiamo due nuovi porti al Nord ben posizionati per sopperire alla fine (definitiva?) del flusso russo.
Secondo più di uno studio, tra cui l’LNG tracker di IEEFA, in termini di sicurezza gli investimenti in nuove infrastrutture gas in Europa sono sensati solo nell’ipotesi di
- consumi che tornino a salire
- sostanziale non raggiungimento degli obiettivi climatici.