Quanta ridondanza energetica ci conviene?

Apr 3, 2024 | L’Approfondimento di Michele Governatori

Michele Governatori è autore di Derrick Energia, un canale informativo su
energia e ambiente sull’omonimo blog e su Radio Radicale.
Quando il gas è arrivato a oltre 300 €/MWh nella prima estate dopo l’invasione dell’Ucraina, a molti sembrava che pagare qualunque cifra per poterlo importare da luoghi alternativi alla Russia fosse l’unica strada possibile. In parte era giustificato, ma alcuni paesi europei si sono un po’ fatti prendere la mano con la costruzione contemporanea di nuovi porti del gas proprio mentre i clienti, come abbiamo già visto in questa rubrica, reagivano ai prezzi alti consumando meno e attrezzandosi a farlo anche in futuro grazie a investimenti in efficienza e fonti rinnovabili.

Anche l’Italia sta approntando due nuovi punti di approdo per navi gasiere e si accinge a costruire un corridoio di trasmissione sud-nord capiente come mai in passato. E lo fa mentre il suo fabbisogno di gas è il più basso da quando ne esiste un mercato moderno. Per trovare consumi ridotti come nel 2023 occorre risalire al 1997, mentre il massimo dei volumi è stato toccato nel 2005.

D’altra parte, l’infrastruttura non si dimensiona sui flussi annuali, bensì sulle esigenze di punta, così come un’autostrada non può andare sistematicamente in crisi con i flussi dei weekend (né, all’estremo opposto del ragionamento, può essere progettata sulle necessità dei giorni di bollino nero di Ferragosto). Ma anche tenendo in conto questo, si nota la divaricazione tra i trend di consumo e quelli degli investimenti in infrastrutture. Infatti, oggi rispetto ai tempi del record italiano dei consumi abbiamo più stoccaggi nazionali di gas, che servono proprio a fornire capacità di punta, così come abbiamo due nuovi porti al Nord ben posizionati per sopperire alla fine (definitiva?) del flusso russo.

Secondo più di uno studio, tra cui l’LNG tracker di IEEFA, in termini di sicurezza gli investimenti in nuove infrastrutture gas in Europa sono sensati solo nell’ipotesi di

  • consumi che tornino a salire
  • sostanziale non raggiungimento degli obiettivi climatici.

Il primo è uno scenario forse improbabile in un contesto in cui la crisi del 2022 ha dato – come abbiamo già accennato – un’accelerazione notevole a rinnovabili ed efficienza, i cui effetti (a differenza di quelli del risparmio e del rinvio di produzione) sono strutturali.

Il secondo sarebbe un fallimento di politiche piuttosto drammatico secondo le previsioni dell’IPCC sui costi di adattamento al nuovo clima (l’IPCC è l’organo ONU che ci aggiorna sugli effetti dei cambiamenti climatici e che consiglia ai membri della convenzione-quadro sul clima le politiche opportune per contrastarli). Ed è forse inquietante che le politiche di sicurezza energetica puntino a un fallimento di quelle sul clima. Questo dovrebbe portare quantomeno a un confronto istituzionale trasparente per riconciliare le due questioni.

Come spesso accade, vedere cosa fanno gli investitori è utile per avere un’idea concreta di dove si appresta ad andare un’industria. Interessante in questo senso che un’utility italiana promotrice di un nuovo terminal LNG originariamente pensato come “merchant” (cioè destinato a ripagarsi vendendo la propria capacità sul mercato) abbia recentemente dichiarato in un’audizione parlamentare che nelle attuali condizioni solo una forma di remunerazione regolata assicurata possa rendere fattibile l’investimento.