L’altro giorno ero a casa di amici, un bell’appartamento a Roma nella cui ristrutturazione il mio amico proprietario (nome di fantasia: Sergio) ha con gusto mantenuto dettagli risalenti forse addirittura al primo equipaggiamento. Ho riconosciuto maniglie anni ’50 che devo aver visto da compagni d’infanzia, ammirato il parquet massiccio solo superficialmente scalfito da chissà quanti traslochi e addii, o arrivi speranzosi come quello di Sergio giustamente fiero mentre fa fare agli ospiti il giro d’ordinanza. Le porte sottili ma di legno massiccio bianco, osservo, sono precedenti e più pregiate rispetto a quelle che equipaggiavano l’appartamento della mia infanzia: queste ultime in “tamburato” (si chiama così?) cavo dentro, una delle quali una volta mostrò tutta la sua fragilità lasciandosi sfondare dall’urto con un oggetto acuto.
Non ricordo in quale libro Niccolò Ammaniti ha fatto una requisitoria sulla bruttezza delle maniglie standard delle finestre in alluminio bianco di seconda generazione del tipo più comune ed economico. Ha ragione. Ma quel che ho notato a un certo punto a casa di Sergio è peggio: un paio di infissi originali, in sottile legno e ancor più sottile vetro singolo, con una chiusura priva di qualunque ermeticità (ma anche se chiudessero non voglio immaginare la dispersione di pannelli così fini).
“Questi li cambi spero” ho detto al mio amico.
Lui ha risposto di no: gli piacciono così, ha detto.
Ho pensato che evidentemente l’energia costa troppo poco, se Sergio la butta così.
E poi quando è passata la nuova norma europea sull’efficienza degli edifici ho pensato: “Vedi che serviva”.
Ma ho anche pensato che si può vederla forse in un modo diverso da quel che ho visto fare da molti osservatori.
Mi spiego: cosa ci impone la norma?
Di investire un po’ di più d quel che già abbiamo fatto o deciso di fare comprando una casa. Investire, non semplicemente spendere. Perché pur con le incertezze rispetto al futuro del prezzo dell’energia non c’è dubbio che quello dell’efficienza sia un investimento: paghi ora per avere poi un flusso (permanente in questo caso) di risparmi. Ci sono innumerevoli norme che ci impongono di fare sacrifici per produrre vantaggi ad altri membri della società, il che è consueto in un’organizzazione civile in tutti i casi in cui sia ragionevole ritenere che in seguito all’intervento la società complessivamente starà meglio. Ma la norma sull’efficienza degli edifici, riguardo a quelli privati, non appartiene alla categoria appena descritta. Qui si fa un’imposizione i cui primi beneficiari sono gli stessi soggetti privati che la subiscono, per così dire. Dovrebbe quindi essere tutto meno controverso, no?
E allora perché tanta opposizione? Se, come dice il luogo comune, la casa per gli italiani è sacra eccetera, perché non dovrebbe essere anche sacrale che sia più efficiente e confortevole?
Magari le norme sulle “case green” (come si dice con questo purtroppo sempre più parodistico aggettivo) sono solo il nostro super-io che ci ricorda che “chi più spende meno spende”, e che se fai l’investimento è un peccato lasciare che spifferi fastidiosi ne riducano il valore.