L’antico adagio secondo cui manca una strategia energetica (ammesso che sia condivisibile l’assunto) è meno vero da quando il nostro paese ha inviato a Bruxelles il piano energia e clima (PNIEC), a maggior ragione se teniamo in conto che oltre agli obiettivi al 2030 il PNIEC contiene anche scenari (per quanto meno accurati) per il ventennio successivo. Il che è coerente con il fatto che la legge Clima UE prevederà un obiettivo 2040 (-90% di emissioni rispetto al 1990, ribadito da Von Der Leyen nel giorno della sua seconda elezione a presidente della Commissione) oltre che la già prevista completa decarbonizzazione dell’economia a metà del secolo.

In tanti hanno scritto di cosa c’è nel PNIEC, e quindi forse è più interessante qui suggerire qualcosa che non c’è, o meglio non nella misura a mio parere necessaria:

  • Un sistema adeguato a fare stoccaggio stagionale di elettricità in dimensioni tali da permettere di decarbonizzare quasi completamente il sistema elettrico;
  • uno strumento per decarbonizzare le industrie hard to abate (acciaio primario e cemento in primis) permettendo loro di restare operative anche in vista del traguardo 2050.

Queste due mancanze emergono dal recente studio del Politecnico di Milano Hydrogen Innovation Report 2024 (cfr. infografica) che suggerisce rispetto al PNIEC uno sviluppo decisamente superiore della capacità produttiva di idrogeno (fatto con energia da rinnovabili o con separazione e cattura della CO2 se ricavato da metano). Secondo il Politecnico, al 2030 servirebbero 15 milioni di t di idrogeno (senza contare il fabbisogno di cui al punto 1 qui sopra), cioè ben due ordini di grandezza in più che nel PNIEC. Secondo uno studio meno recente di ECCO e Artelys, la domanda di idrogeno per industria e trasporti sarà rispettivamente di 8 e 16 TWh nel 2030 e 2035.

Ma il punto 1) mi sembra ancora più rilevante: se secondo il PNIEC avremo nel 2030 il 63% di rapporto tra FER elettriche e consumi elettrici, con quasi 70 GW di solare installato, sarà quindi irrinunciabile di lì a poco la capacità di portare verso l’inverno l’eccesso estivo e primaverile di produzione fotovoltaica. Non solo, dopo il 2030 anche il nucleare previsto nel PNIEC avrebbe bisogno di capacità di stoccaggio della sua produzione visto che si tratta di un baseload che nelle ore di domanda residuale nulla o negativa (cioè quando le FER non programmabili servono tutta la domanda) dovrà “mettere in cascina” l’eccesso di produzione, verosimilmente alimentando ulteriori elettrolizzatori e stoccaggi di idrogeno (o di gas artificiale ricavato dalla metanazione dell’idrogeno).

Insomma, un PNIEC non troppo avaro di numeri in termini di rinnovabili da installare, ma lacunoso sulla dimensione di stoccaggio stagionale dell’energia e di alimentazione della transizione per la parte non elettrificabile di industria e trasporti.