Intervista a Carlo Stagnaro, Direttore Ricerche e Studi dell’Istituto Bruno Leoni (IBL)
La liberalizzazione del mercato dell’energia è partita ormai da tempo, ma con una velocità discontinua e una limitata estensione. Alcuni settori o porzioni della filiera si sono infatti aperti al mercato, altri però restano ingessati nel vecchio sistema, garantendo ancora monopoli o posizioni predominanti a discapito di una libera competizione. Inevitabile conseguenza di essere in un mercato regolato e complesso o mancanza di volontà di trovare soluzioni alternative?
Entrambe le cose. Il cambiamento richiede sempre un mix di volontà ed equilibrio. Nel nostro caso, l’equilibrio viene dalle direttive europee – che nella loro evoluzione nel tempo hanno spinto sempre più verso l’apertura del mercato – ma la volontà, a livello nazionale, è spesso mancata. Questo dipende, almeno in parte, da una resistenza culturale di una fetta del nostro paese nei confronti della concorrenza, della libertà d’impresa e dell’industria privata: lo vediamo bene anche in altri settori. Ma, per il resto, riflette la storia del settore elettrico, che ha attraversato il passaggio della liberalizzazione mantenendo non solo l’integrazione verticale, ma anche un’organizzazione della distribuzione locale fondata sulla presenza di un unico operatore nazionale (o quasi). A sua volta, questa deriva dalle modalità con cui si è compiuta la nazionalizzazione nel 1962: concentrando l’intero governo del settore all’interno di un unico soggetto, con l’eccezione delle ex municipalizzate la cui identità è stata rispettata. Non è un caso se nel settore “cugino” del gas, dove la distribuzione è più frammentata e quindi il monopolio (naturale) della distribuzione non si trasmette nei mercati liberi a monte e a valle, le quote di mercato sono più contendibili e il disegno di mercato (inclusi i servizi di tutela) intrinsecamente più aperto.
Lo sviluppo tecnologico sta ormai portando a ridisegnare il classico schema del mercato dell’energia. Accumuli, smart grid, generazione diffusa, mobilità elettrica stanno rivoluzionando il rapporto tra Domanda e Offerta e i ruoli dei soggetti della filiera. Quanto siamo pronti a questa trasformazione?
Le grandi trasformazioni non hanno mai una sola causa. Sono sempre la risultante di una molteplicità di forze. Nel nostro caso, abbiamo lo sviluppo tecnologico, la pressione verso la decarbonizzazione, l’elettrificazione dei consumi e dunque la maggior versatilità negli usi elettrici. Quello che, finora, manca è la componente istituzionale: le regole del settore risentono ancora dell’impostazione tradizionale che ruota attorno al principio della centralizzazione e a un mercato che si gioca interamente dal lato dell’offerta. I sistemi elettrici oggi stanno diventando sempre più mercati nel senso stretto del termine, dove le interazioni sono bidirezionali e le scelte decentralizzate. E’ quindi sempre più insostenibile un sistema che sembra mosso da un mal riposto paternalismo nei confronti dei consumatori, specie quelli piccoli, considerati incapaci di badare a se stessi ma contemporaneamente messi a disposizione degli incumbent.
L’introduzione delle rinnovabili non programmabili ha introdotto un fattore di indeterminatezza nella copertura della Domanda, modulato ora dalla flessibilità di impianti di generazione specificatamente dedicati. Tuttavia è sempre più evidente come tale servizio di modulazione può essere fornito anche dalla Domanda stessa che, adattandosi, può mitigare i prelievi nei momenti critici. Possiamo auspicare un mercato della flessibilità realmente competitivo, aperto alla Domanda e neutrale rispetto alle tecnologie?
In qualunque mercato l’equilibrio dipende dalla domanda e dall’offerta. In questo, i mercati dell’energia – storicamente segnati da centralizzazione, integrazione verticale e “supply side bias” – rappresentano un’eccezione. L’eccezione è stata a lungo giustificata opponendo problemi tecnologici e il feticcio della sicurezza del sistema. Oggi, i primi sono sempre meno rilevanti mentre il secondo si gioca in modo sempre più evidente sia dal lato della domanda, sia da quello dell’offerta. Solo che quello che sta diventando tecnicamente possibile deve trovare anche degli interpreti, delle “constituency”, per creare sugli operatori e sui regolatori quella sana pressione verso il cambiamento. I consumatori vanno ingaggiati ma vanno anche spinti a chiedere quello che gli spetta: se sono in grado di offrire servizi al sistema (e lo sono) e se questi servizi hanno un valore (e ce l’hanno), allora vanno remunerati a condizioni eque e non discriminatorie. Ogni resistenza in tal senso – come per esempio la marginalizzazione della domanda nel disegno del mercato della capacità e la scarsa convinzione con cui sono stati perseguiti i progetti pilota delle Uvam – coincide con la difesa di altrettante posizioni di rendita. A scapito dei consumatori e del sistema.
L’introduzione delle smart grid, la gestione decentralizzata dei sistemi, le nuove tecnologie della micro generazione permettono di ipotizzare aggregazioni di pro-sumer anche nell’ambito delle utenze residenziali. Si sta quindi delineando un possibile cambiamento anche negli stili di vita dei consumatori finali?
Questo tipo di cambiamento è il portato naturale dell’evoluzione tecnologica, che crea nuove opportunità di valore dove prima non c’erano. Il consumatore non è più una mera appendice passiva, ma un agente sempre più attivo. Lo è in modi molto diversi: negli scorsi anni abbiamo scoperto che il “consumer” può produrre energia, cedendo alla rete quella in eccesso rispetto ai suoi bisogni (“prosumer”) e addirittura utilizzare accumulatori domestici per gestire l’energia prodotta (“prosumager”). Abbiamo anche scoperto che anche le batterie delle automobili possono svolgere questa funzione (vehicle to grid). Abbiamo scoperto che anche i consumatori possono modulare la propria domanda per rispondere alle esigenze del sistema: abbiamo letto sui giornali che in Spagna milioni di consumatori pagano l’energia elettrica sulla base delle variazioni di prezzo in tempo reale e che in molti altri paesi perfino le famiglie e le micro-imprese sono coinvolte in progetti pilota di flessibilità. Attualmente si tratta di esperienze pionieristiche, scarsamente attrattive per il piccolo consumatore (si stima che il potenziale risparmio sia nell’ordine del 3% della spesa annua che, in Italia, si aggira in media attorno ai 500 euro). Ma, in prospettiva, le cose andranno avanti: la spesa elettrica aumenterà perché molti consumi verranno soddisfatti da questo vettore anziché da altri, e il valore di mercato della flessibilità crescerà per effetto della generazione distribuita e intermittente. E’ lì che si creerà una finestra di opportunità per portare a termine questa piccola rivoluzione: la scelta è se anticiparla e preparare il terreno, oppure subirla e pagarne il prezzo.
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