Stiamo vivendo una crisi dei prezzi dell’energia mai vista prima. In pochi mesi il prezzo del gas è aumentato di quasi cinque volte (da 28 cent. di euro/mwh a 140 cent. di euro/mwh) e il prezzo dell’elettricità è aumentato di conseguenza, crescendo anch’esso di cinque volte e talora ancor di più.
Le famiglie, nonostante gli importanti interventi del Governo (8 miliardi di euro da settembre a oggi per alleviare il peso dei rincari in bolletta), soffriranno anche nei prossimi mesi per significativi rincari nell’acquisto di elettricità e gas. Le imprese, specie quelle energivore, sono esposte a un aumento dei costi insostenibile che rischia di farle fermare e di compromettere la ripresa. Per loro, fino ad ora, nulla è stato fatto.
Le cause di una ‘tempesta perfetta’ di questo genere sono molteplici: un rimbalzo post-covid di tutte le economie mondiali e quindi una crescita forte della domanda di energia; problemi di adeguamento dell’offerta alla domanda, a causa degli effetti della pandemia sulla manutenzione degli impianti e sui livelli di produzione di gas naturale; una contrazione degli investimenti nella ricerca di nuovi giacimenti da parte delle oil companies, dovuta all’onda ambientalista contraria al climate change che ha indotto moltissimi intermediari finanziari (banche e fondi di investimento) a non finanziare nuove attività legate agli idrocarburi; una generale spinta inflazionistica che ha investito tutto il settore delle materie prime, energia compresa.
Non sfugge a nessuno però che, accanto a queste cause e ad altre prettamente economiche ve ne sono alcune di natura geo-politica sulle quali vogliamo oggi soffermarci perché ci paiono le più pesanti.
Con riferimento in particolare al gas, che a tutt’oggi determina il prezzo dell’elettricità in Europa, specie quando le centrali nucleari francesi si fermano per manutenzione, e nonostante la diffusione sempre più ampia delle energie rinnovabili, è evidente infatti che l’esplosione dei prezzi è in gran parte imputabile alle tensioni in corso tra Russia e Occidente.
Queste tensioni sono dovute alla situazione creatasi in Ucraina ai confini nord della quale i russi stanno ammassando da mesi ingenti forze militari. Più in generale assistiamo a una confrontation tra Occidente e Russia sulle condizioni di sicurezza di quest’ultima e sul ruolo della Nato nei paesi dell’ex impero sovietico.
E così, in un quadro di volatilità estrema del prezzo dell’energia, il prezzo del gas sale o scende non tanto in funzione della reale situazione della domanda e dell’offerta, ma a seconda delle dichiarazioni più o meno amichevoli che i leader mondiali coinvolti si scambiano.
In questa situazione la posizione europea ci appare incomprensibile: vediamo perché.
L’Europa dipende per più del 60% dei propri consumi di gas dal gas russo, non avendo mai voluto alleggerire tale dipendenza neanche quando, qualche anno fa, gli americani forti delle loro recenti scoperte di giacimenti di shale gas e dell’abbondanza di questa fonte energetica cercavano di convincere gli europei a comprare più da loro e meno dall’orso russo.
Questa scelta strategica europea di privilegiare le forniture di gas dalla Russia è dimostrata anche dal fatto che investitori tedeschi, olandesi e francesi (Ruhrgas, Wintershall, Nederlanse Gasunie, Gaz de France) insieme a Gazprom, il gigante russo nella produzione di gas, hanno investito negli ultimi anni, assistiti da banche e assicurazioni europee, più di 15 miliardi di dollari nella costruzione del North Stream, il gasdotto che attraverso il mar Baltico trasporta direttamente il gas proveniente dalla Russia in Europa occidentale passando per la Germania.
Noi italiani abbiamo avuto un ruolo importante nella realizzazione di quest’opera perché la Snamprogetti, società allora controllata dall’Eni, ha eseguito la progettazione ingegneristica, e Saipem invece lo ha materialmente costruito.
Nessuna voce si è levata in Europa per contrastare la realizzazione di questo gasdotto; quindi anche la vicenda del North Stream conferma il rapporto strategico esistente sul gas tra Europa Occidentale e Russia.
Ciò nonostante negli ultimi tempi, nel bel mezzo di una crisi energetica mai vista, l’Unione Europea e la Germania non hanno esitato a stressare il rapporto con la Russia, in particolare sulla vicenda del North Stream ormai ultimato e solo da mettere in esercizio, proprio sul tema dell’Ucraina.
Grandi ostacoli burocratici e regolamentari in Germania per l’avvio del nuovo gasdotto. Siamo poi arrivati alle dichiarazioni di pochi giorni fa della neo ministra degli esteri tedesca Annalena Baerbock, che ha messo esplicitamente in relazione l’avvio o meno del North Stream con l’evoluzione della crisi ucraina, provocando un’immediata, ulteriore impennata del prezzo del gas naturale e del valore dei titoli borsistici basati sul prezzo del gas.
Queste dichiarazioni e provocazioni sono insensate sia per gli effetti che provocano nell’immediato sia nella prospettiva strategica.
Il buon senso dice che se hai un fornitore strategico o lo sostituisci, se puoi, per non subire il suo alto potere contrattuale, oppure cerchi di convivere con lui senza provocarlo tutti i giorni.
Nella contingenza un mercato già stressato di suo e ipervolatile per ragioni reali trova nelle tensioni geopolitiche ulteriori occasioni di stress e di speculazione finanziaria.
Il ruolo della politica europea in un frangente di questo tipo sarebbe quello di alleggerire le tensioni internazionali e non di acuirle, anche a costo di un dialogo difficile con gli Usa.
L’Occidente tutto non ha alcun interesse a esasperare i rapporti con la Russia.
È noto che questa testata e chi scrive sono tutt’altro che filo putiniani. Da sempre ci sentiamo saldamente ancorati a una posizione filo atlantica che ha storicamente orientato la politica estera del nostro Paese. Ciò nonostante la questione del rapporto con la Russia e le ansie di quel paese per la propria sicurezza non possono essere banalizzate o sottovalutate. Ancora recentemente Vladimir Putin in un discorso al Ministero degli Esteri nel novembre del 2021 ha chiesto di elaborare insieme agli interlocutori occidentali un sistema duraturo nel tempo che garantisca la sicurezza della Russia.
Il nodo è rappresentato dalla teorica possibilità dell’Ucraina e di altri paesi della ex sfera sovietica di aderire all’alleanza militare della Nato.
È evidentemente un diritto di questi paesi richiedere l’adesione alla Nato; ma è altrettanto facoltà dei paesi aderenti all’alleanza atlantica e alla Nato stessa accettare o meno questa richiesta. E la risposta deve, o dovrebbe, tenere conto certo della legittima esigenza di quei paesi di poter vivere liberi e di sentirsi protetti dall’occidente; ma anche allo stesso tempo della legittima richiesta russa di non vedere schierati missili nucleari a Kiev puntati verso Mosca e le altre città russe.
Ci sono paesi come la Finlandia e l’Austria che, pure aderendo a pieno titolo all’Unione Europea, non fanno parte storicamente della Nato; e ciò per la loro collocazione geografica e per la necessità, manifestatasi nel secondo dopoguerra, di mantenere un equilibrio nei confronti dell’URSS e dei suoi alleati.
Il collasso dell’URSS e la fine della guerra fredda hanno mostrato che l’Occidente e le sue democrazie sono sistemi molto più solidi e forti rispetto a quelli del burocratico e inefficiente imperialismo sovietico o di altre satrapie asiatiche. Da quell’area, se si esclude il terrorismo di matrice integralista islamica, non può venire alcuna minaccia all’Occidente. Anzi è interesse di noi occidentali e prima di tutto di noi europei integrare quest’area, con gradualità e prudenza ma anche con convinzione, nel sistema economico e di valori che ci appartiene. E ciò per almeno due ragioni.
La prima è che la Russia è storicamente e culturalmente legata all’Europa e non è possibile troncare questo legame.
La seconda è che se è vero che la confrontation dei prossimi cinquanta anni sarà, per l’Occidente e per gli Usa, con la Cina, non si capisce per quale ragione si debba asiatizzare sempre di più la Russia spingendola nelle braccia del gigante asiatico.
È nostro interesse al contrario una vera partnership con quel paese basata sulla tranquillità della forza, non solo economica, occidentale ma anche sul rispetto nei confronti di una nazione e di un popolo.
Al riguardo l’Unione e i Paesi europei debbono aiutare gli Stati Uniti d’America e la loro politica estera a non commettere errori nel quadrante europeo e mediterraneo.
Dopo la triste vicenda afghana l’Europa ha ancora più titolo a farlo.
Giustamente si dice che l’Europa è diventata una periferia strategica; ma proprio perché periferia strategica, ma non di valori, ha diritto di proteggere la sua economia, la sua società, la sua politica dai danni di una confrontation senza senso con i russi.
È accettabile che il gas costi oggi negli Usa 10 Usd a mwh e in Europa 160? No, non è accettabile. Soprattutto ciò non può avvenire per l’intemperanza e l’insipienza di qualche politico europeo in cerca di notorietà internazionale.
L’Italia e Mario Draghi hanno il dovere di evitare che ciò accada, nell’interesse dell’economia e dell’industria europee. Il ruolo dell’Italia in un’Europa sempre più confusa è cruciale e va giocato senza titubanze.