Lo confesso: ho ritwittato Greta Thunberg.
E ho trovato divertente il celebre video del “bla bla bla” in cui lei con un misto di ingenuità e perfidia (l’avete visto? Le passa nell’espressione un lampo di divertimento che ho trovato irresistibile) ha fatto questa cosa mediaticamente notevole di dire al tavolo della COP26 che quello stesso tavolo stava partorendo discorsi altisonanti quanto deboli negli aspetti prescrittivi.
Nel tweet in questione la Thunberg scrive che ai potenti della Terra nessuno impedisce di usare in patria le proprie prerogative e fare azioni quand’anche non condivise dalla Conferenza delle Parti.
Qui la controdeduzione potrebbe essere che chi si muove unilateralmente rischia di pagare un conto più salato. Già: ma non è forse vero in qualunque settore che chi anticipa i tempi si espone a rischi, così come a grandi successi e vantaggi competitivi anche duraturi? Senza contare che se in ballo c’è il benessere della specie umana (e non del pianeta, come ha efficacemente ricordato il neopremio Nobel Parisi in uno streaming pubblico sul canale web di Repubblica il 16 novembre scorso) muoversi unilateralmente e dare l’esempio dovrebbe forse essere un imperativo etico.
Ma è ingeneroso classificare la conferenza di Glasgow come “bla bla bla”.
Una premessa importante, per quanto ovvia, è che gli accordi multilaterali sono vincolanti fintantoché le parti decidono spontaneamente di rispettarli, non sono leggi negli Stati membri. Ciononostante a Glasgow le parti non si sono date nessun nuovo obiettivo perentorio, anche se ci sono stati passi in avanti sugli strumenti e sulle misure auspicate.
Vediamo i punti più rilevanti del documento principale:
- Gli obiettivi della conferenza di Parigi (massimo 2 gradi in più dall’era preindustriale) sono confermati, e in più ora si esplicita l’importanza di stare sotto l’1,5°.
- Si “invoca” la necessità di continuare a sviluppare fonti rinnovabili, efficienza energetica e di “accelerare gli sforzi” per ridurre l’uso non compensato del carbone e i sussidi “inefficienti” alle fonti fossili d’energia.
Questo passaggio è a mio avviso molto deludente: in sostanza le parti non sono nemmeno disposte a impegnarsi a un’uscita completa, per quanto procrastinata, dal carbone, nemmeno quello associato a progetti di compensazione delle emissioni. Poi, lasciare intendere che esistano dei sussidi alle fossili che siano ‘efficienti’ equivale a smontare sul nascere un intervento fondamentale delle politiche di sostenibilità, che dovrebbe anche essere alla base delle riforme fiscali. Non per niente, a casa nostra, mentre scrivo questo articolo il ministro della Transizione non ha ancora firmato la nuova edizione del catalogo dei sussidi dannosi all’ambiente che per legge avrebbe già dovuto essere diffuso quest’estate.
- Si “riconosce la necessità” di abbattere le emissioni dannose al clima del 45% entro il 2030 rispetto al 2010, mentre si prevede che con le sole misure messe in atto per ora salirebbero di quasi il 14%.
- Si riconosce anche la necessità di arrivare alla neutralità climatica entro circa metà secolo. (Inevitabile qui non notare come un’ipocrisia espressiva possa rendere firmabile un documento in assenza di accordo).
Neutralità climatica non significa azzeramento delle emissioni, ma loro compensazione con azioni in grado di togliere i gas serra dall’atmosfera, o evitare che ci arrivino. Al che si lega la necessità di permettere una collaborazione internazionale sui progetti di riduzione della CO2, cosa che viene regolata con un importante aggiornamento dell’accordo di Parigi – deciso a Glasgow – sulle modalità con cui i crediti di carbonio, che rappresentano azioni in grado di produrre emissioni negative, verranno scambiati e regolati.
Nel contesto del summit di Glasgow sono stati siglati anche altri accordi multilaterali sul clima, tra cui:
- Uno (importante) tra un centinaio di Stati inclusa Italia sulla riduzione delle emissioni di metano che è anche un potente gas-serra.
- Uno promosso dal Regno Unito sulla fine degli investimenti internazionali in energie fossili non compensate, firmato da una quarantina di Paesi e istituzioni tra cui Italia, ma che per come è scritto permette generiche eccezioni.
- Si è allargata la coalizione BOGA (Beyond Oil and Gas Alliance) per l’uscita progressiva dalle fonti fossili di energia, con la curiosa partecipazione dell’Italia non come membro, ma come “amica” dell’accordo (unico caso). Come dire: benevolenza ma per ora nessun impegno.