Tratto da PiazzaLevante.it
Una delle grandi novità del governo Draghi è la nascita del Ministero per la transizione ecologica ed ambientale (MITE).
Si tratta dell’accorpamento alle tradizionali competenze del Ministero dell’Ambiente di quelle relative all’energia, e più in particolare allo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili e sostenibili fino ad oggi di competenza del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE). La missione del Ministero, secondo le dichiarazioni rilasciate dal nuovo Ministro, Roberto Cingolani, che i liguri conoscono bene perché per oltre dieci anni ha diretto a Genova l’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia), “integra e permea gli aspetti della protezione ambientale nella prospettiva dello sviluppo sostenibile e della transizione ecologica”.
Sempre secondo il Ministro, l’azione del MITE si concentrerà su tre focus distinti:
- La tutela del territorio e del mare;
- La transizione ecologica vera e propria;
- L’interdipendenza delle sfide climatica ed energetica.
Ma cosa si intende per transizione ecologica? Scopo del presente articolo e di quelli che seguiranno è rispondere, in maniera speriamo semplice e chiara, a questa domanda, cercando di chiarire le grandi questioni che il tema sottende ed anche le diverse interpretazioni e definizioni che della transizione ecologica si danno.
Potremmo definire transizione ecologica il processo di trasformazione dei comportamenti e delle abitudini quotidiane volto ad azzerare le emissioni di CO2 in atmosfera, ritenute le massime responsabili del cambiamento climatico e dell’innalzamento delle temperature sulla crosta terrestre.
L’obiettivo, secondo i sostenitori della transizione ecologica, è puntare su una ‘crescita verde’, e cioè una crescita economica che rispetti le risorse del patrimonio naturale. Per fare ciò occorrono piani di sviluppo sostenibile in tutti e settori e gli aspetti della vita come energia, agricoltura e trasporti.
Non è possibile l’evoluzione infinita di un sistema che ha alla base risorse limitate, e per questa ragione bisogna attuare cambiamenti radicali per modificare i mali attuali del pianeta, che sono soprattutto: inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo; scarso o comunque non sufficiente utilizzo di fonti energetiche rinnovabili; innalzamento delle temperature e conseguente alterazione degli ecosistemi.
Solo così sarà possibile tutelare la salute attuale e futura degli umani, degli animali e dell’ambiente.
Il WWF definisce lo sviluppo sostenibile come “la capacità della nostra specie di riuscire a vivere in maniera dignitosa ed equa per tutti, senza distruggere i sistemi naturali da cui traiamo le risorse per vivere e senza oltrepassare la loro capacità di assorbire gli scarti e i rifiuti dovuti alle nostre attività produttive”.
I passi da fare nell’immediato secondo questa impostazione sono:
- Favorire l’economia circolare, che non elimina i prodotti di scarto ma che li riutilizza;
- Rispettare i sistemi naturali e le loro capacità massime, limitando l’azione umana;
- Promuovere la mobilità sostenibile;
- Spingere sugli investimenti in energie rinnovabili e pulite come fotovoltaico e eolico.
Questa la sintesi dei concetti sostenuti dai movimenti ecologisti e dall’opinione pubblica occidentale più sensibile al tema.
Ma come ci ha ricordato sempre Cingolani, nel suo intervento a Commissioni congiunte Industria/Attività Produttive e Ambiente della Camera e del Senato: “Il concetto di transizione ecologica non è univocamente definito tra gli Stati. Vi è infatti una tale disuguaglianza a livello planetario che quello che per i Paesi industrializzati e più evoluti è una transizione, per altri è qualcosa di materialmente impossibile. Nonostante gli obiettivi di sostenibilità ambientale siano chiari a livello globale, la strada percorribile non è la stessa per tutti”.
La prima considerazione che il ragionamento di Cingolani evoca è la storicizzazione e contestualizzazione del concetto di transizione ecologica.
Salvare l’ambiente a partire dal contrasto al cambiamento climatico e avere nei confronti della terra (di madre terra come la definiscono gli ecologisti) e delle sue risorse un atteggiamento più rispettoso e meno rapace non sono concetti percepiti allo stesso modo nel mondo.
Le differenze dipendono soprattutto dallo stadio di sviluppo delle diverse economie e dall’orientamento culturale dell’opinione pubblica e dalla sensibilità della stessa ai temi ambientali.
In Europa in particolare la percezione dell’urgenza della questione climatica e la conseguente pressione dell’opinione pubblica verso istituzioni e forze politiche ha determinato l’adozione di indirizzi e programmi molto importanti da parte dell’Unione Europea. Il 37% delle risorse di Next Generation Eu andrà obbligatoriamente impiegato su progetti relativi alla trasformazione green dell’economia. Tutti Paesi europei sosterranno enormi investimenti per raggiungere l’obiettivo di lungo termine di azzerare le emissioni nette di CO2 e degli altri gas serra entro il 2050 e quello di medio termine di ridurle del 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030.
Analoga sensibilità e determinazione politica non è riscontrabile in altre parti del mondo sviluppato. Usa e Cina in particolare hanno mostrato negli ultimi venti anni un diverso e più prudente approccio al tema e il fatto è rilevante tenuto conto della loro potenza economica e industriale. Solo recentemente la questione ambientale si è posta con forza anche in questi due paesi e anche qui il peso dell’opinione pubblica e l’insopportabilità dell’inquinamento dell’aria in molte megalopoli americane e cinesi sono stati determinanti.
Ma è soprattutto nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, i più poveri e meno industrializzati in Africa, Asia e Sud America che la questione ambientale non è la priorità e parlare di transizione ecologica, come dice Cingolani, è quasi impossibile.
Ben si comprende dal quadro delle diversità testé rappresentate come la sfida sia immane. Non si può pensare che la partita si possa giocare in un solo paese o in un solo continente. La transizione ecologica, se sarà, dovrà coinvolgere gradualmente l’intero pianeta. E di conseguenza – come dice il nostro amico Carlo Stagnaro – oltre un certo limite la transizione ecologica dovrà procedere sulle sue gambe. Non si può immaginare una trasformazione tanto vasta senza che le innovazioni – tecnologiche, di processo, comportamentali – risultino migliori rispetto alle tecnologie tradizionali.
Al riguardo si ricorda spesso la battuta dello sceicco Ahmed Zaki Yamani, storico ministro del petrolio dell’Arabia Saudita, scomparso qualche settimana fa. “L’età della pietra non è finita perché si sono esaurite le pietre. È finita perché e quando il bronzo si è imposto come alternativa migliore e più economica. Allo stesso modo l’età del petrolio finirà molto prima che finisca il petrolio”.
La seconda questione evocata dalla riflessione di Stagnaro e dello sceicco Yamani è quella della tecnologia o meglio delle tecnologie.
L’estremismo ambientalista non ama questo tema e molto spesso mostra nei confronti della tecnologia e dell’innovazione sfiducia e sospetti. L’ideologia pseudoreligiosa, che individua nel capitalismo e nell’industria ogni male e nella ‘decrescita felice’ l’unica via di espiazione e di uscita dalla crisi ambientale ha preso campo, ricordandoci per certi aspetti tendenze e visioni millenaristiche: catastrofismo, apocalisse imminente, odio per la crescita economica, odio verso l’occidente, estinzione di massa.
Al contrario la base di un discorso ambientalista ragionevole è scientifica e non dogmatica e vede nella tecnologia lo strumento insostituibile per l’avanzamento, anche ambientale, delle sorti dell’umanità.
Digitalizzazione e intelligenza artificiale, transizione energetica, economia circolare, mobilità sostenibile, innalzamento della qualità e delle quantità agricole, sono tutti temi che incrociano l’innovazione e la tecnologia.
Una visione di futuro ‘verde’ non può prescindere dallo sviluppo delle tecnologie che solo le imprese possono assicurare. Uno sviluppo letto e declinato senza ideologismi dogmatici ma secondo la cultura scientifica dell’analisi sistematica dei dati e dei risultati e una costante valutazione di costi e di benefici.
Ma questo è l’argomento del prossimo articolo.