SYD – Le Campane di Notre Dame

Mag 23, 2019 | News

Le Campane di Notre Dame | Il Gobbo di Notre Dame di Francesco Lepre > Play Una manciata di giorni fa è bruciata la Francia. Alle 18:20 circa del 15 aprile scorso (all’inizio della settimana Santa) è partito l’allarme antincendio della Cattedrale di Notre Dame de Paris. Un problema informatico però ha impedito che il segnale fosse inoltrato ai vigili del fuoco. E quando, trenta minuti dopo, è partito l’allarme, era già troppo tardi. Nostra Signora bruciava! E mentre Notre Dame bruciava, cominciavano a imperversare le solite leggende su profezie premonitrici avvolte da mistero. L’incendio era prevedibile, lo diceva anche Nostradamus. Peccato che chi ha avuto (e io ahimè sono uno di quelli!) l’insana idea e la certosina pazienza di leggersi tutte (e dico tutte!) le terzine del veggente francese (che manco a farlo a posta ha il nome che deriva proprio dalla cattedrale), si sarà reso conto che ogni suo messaggio è decriptabile solo a eventi avvenuti e con l’aiuto di improbabili interpolazioni di terzine, saltando da una all’altra, forzando connessioni logiche e interpretazioni a posteriori. Notre Dame, avvolta dal suo fascino. Le sue campane. Le sue torri, che tanti hanno ispirato. E mentre tutto brucia, quasi ci si aspetta che da quelle fessure compaia Quasimodo. Anche i bambini sono tristi. Notre Dame brucia! Macron a testa in su, incredulo, mentre le fiamme divorano la cattedrale. Tutta la zona viene isolata; ma, ai confini dell’area interdetta, francesi, tedeschi, italiani, spagnoli e persone da ogni parte del mondo si assiepano e pregano per Nostra Signora. In quelle ore, in quelle interminabili ore siamo davvero tutti francesi. Per nove interminabili ore le dirette televisive di tutto il mondo ci hanno tenuto con il fiato sospeso. Solo alle 4:00 di mattina del 16 aprile i vigili del fuoco hanno potuto confermare che l’incendio era domato. Subito si apre l’indagine per individuare cause e responsabilità. E mentre Macron parla ai francesi, invitandoli a stringersi insieme, attingendo forza dal loro orgoglio nazionale, tutto si ferma. Per qualche ora non esistono più Gilet Gialli, non esiste la polizia, non esistono gli indicatori economici. La Francia si ferma. Tutti si fermano per abbracciare Notre Dame. In una manciata di ore, la solidarietà del mondo intero si concretizza in settecento milioni di euro, raccolti per la ristrutturazione della cattedrale. “Cinque anni!” dichiarerà Macron. Questo il tempo per la ristrutturazione. Ma aldilà dell’ambizioso progetto, aldilà di quanto tempo realmente ci vorrà, resta un dato di fatto: Nostra Signora ci ha uniti tutti. Ed è strano questo! È strano vederci tutti vicini, uniti in una comunione di intenti. Nostra Signora è riuscita dove neanche un naufrago bambino di due anni morto e steso sulla riva del mare era riuscito? Siamo uniti? Siamo tutti francesi? Siamo Europa? Siamo l’Europa? Il progetto dell’Europa Unita è un sogno in cui dobbiamo continuare a credere. Con fatica, passo dopo passo, dobbiamo avanzare. Rimanere uniti, con una politica economica e industriale vera. Com’è facile cedere alla tentazione di mollare tutto. In un contesto in cui l’eterogeneità strutturale continua a farla da padrona. Unita nelle diversità, ok, ma dove finisce la forza e dove comincia la debolezza di queste diversità? Senza entrare nell’ambito politico (nel senso stretto della parola), pensiamo solo al mondo dell’energia, dove già solo il contesto produttivo è talmente vario da rendere difficilissimo immaginare un mercato unico. Andiamo dalla produzione rinnovabile dei Paesi scandinavi (certo, Finlandia e Svezia hanno una bassissima densità di popolazione ed un’alta disponibilità di idro!), alla produzione a gas italiana, passando dal nucleare francese al carbone tedesco. L’effetto che ne deriva è quello che conosciamo benissimo: una miriade di spread sui prezzi spot e a termine, dove le correlazioni, questo è vero, sono spinte dal market coupling (un passo importante verso l’integrazione dei mercati), ma che tuttavia al momento non hanno ancora reso omogenea (dal punto di vista energetico) l’opportunità di produrre industrialmente in Francia, in Italia o in Germania. La stessa applicazione della direttiva europea sulla liberalizzazione dei mercati è stata applicata qua e là a macchie di leopardo (e forse su questo la Francia ne sa qualcosa…). Senza considerare il contesto sul bilanciamento della rete, dove siamo ben lontani da un quadro omogeneo a livello europeo, passando da mercati intraday orari con sessioni a ridosso della delivery, a mercati dove il programma vincolante è distante qualche ora dalla consegna fisica. Al netto delle considerazioni sull’impatto che avrebbe una riforma in tal senso in Italia dal punto di vista del costo del dispacciamento (nelle quali non è opportuno addentrarsi ora), resta il fatto che le differenze rimangono e una direttiva europea (Dir. EU 2195 del 2017) spingerebbe ad una uniformità di tale contesto. Da tempo si parla di riforma del contesto di dispacciamento in Italia e forse questo potrebbe effettivamente essere armonizzato ad un quadro che in altri Paesi sembra funzionare. Quanto siamo dunque europei? Il Regno Unito ci ha abbandonato, o almeno questo è quello che sta tentando di fare. E mentre Theresa May cerca un’intesa per trovare un accordo “dignitoso” per l’uscita, si susseguono i rinvii. Intanto la CO2 balla il cha-cha-cha: accordo o non accordo? La domanda UK uscirà senza accordi e la sua offerta di CO2sarà carta straccia (ricordo che i titoli ETS sono bancabili), o rientrerà in un’intesa più ampia con l’UE, mantenendo il valore del titolo e supportando quindi quel trend bullish dato da un mercato che nell’arco di qualche anno potrebbe ritrovarsi corto? Che Europa siamo? Un’Europa che di fronte ad uno dei suoi simboli (non inserito nelle monete dell’EU per mancanza di intesa!) finalmente si ferma. La Francia è ferita, per l’ennesima volta in questi anni. Nostra Signora ci ha riuniti. Ma dov’è l’identità dell’Europa? Di fronte all’emotività di un incendio siamo tutti evidentemente ricondotti al nostro stato di esseri umani, con la nostra vulnerabilità, spinti da sentimenti quasi primordiali. Ci uniamo facilmente nelle emozioni forti, viscerali, ancestrali, ma fatichiamo a trovare la stessa unità quando in gioco ci sono la razionalità delle idee, gli interessi imminenti, le opinioni personali, le visioni del mondo. Di fronte al raziocinio, viene meno la solidarietà. Di fronte al futuro pianificato tutto è troppo lontano e i sentimenti si affievoliscono. Com’è difficile pensare a cosa consegneremo ai nostri figli… Le campane di Notre Dame svegliavano Parigi. Le campane di Notre Dame non suonavano: cantavano! Alle 18:50 del 16 aprile, il giorno dopo il grande incendio, tutte le campane delle chiese di Parigi hanno suonato per Lei, per onorare Nostra Signora. Notre Dame è ferita. Ci sarà bisogno dell’aiuto di tutti. Notre Dame è ferita, ma è ancora in piedi. L’Europa ha bisogno di tutti. L’Europa è ancora in piedi? Scarica l’articolo di Nuova Energia