Charleston | Django Reinhardt
di Francesco Lepre
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Il rischio è connesso alla nostra vita. L’ineluttabile incertezza degli eventi ci accompagna da quando nasciamo. Secondo il vocabolario Treccani la parola “rischio” significa “eventualità di subire un danno connessa a circostanze più o meno prevedibili”. In sostanza, qualcosa potrebbe andare storto. A questa onnipresente certezza di incertezza sono legate massime di filosofi e saggi, ma anche di persone che del rischio ne hanno fatto un lavoro. Giocare con il rischio è affascinante, ma ha un prezzo…talvolta più alto di quello che ci si possa permettere.
Per gli inguaribili pessimisti il mantra è dettato dalla legge di Murphy, che in sintesi ci dice: se qualcosa potrebbe andare storto…andrà storto! Poi ci sono i cauti che sperano nel meglio e si preparano al peggio. Infine gli ottimisti, cronici, effervescenti…in genere induttivi: non è mai successo, perché dovrebbe succedere ora? Detto tra noi, ma non lo dite a nessuno, anche io non sono mai morto!
Insomma, tutti i giorni ci dobbiamo confrontare con questo strano oggetto che è il rischio.
Riuscire a capire (e quindi dimensionare) quanto è grande il rischio è già un bel successo. Decidere poi se ci si può permetterselo richiede una buona conoscenza di sé (o dell’azienda per cui si lavora).
Talvolta il rischio è legato al fatto che si ignorano (consapevolmente o inconsapevolmente) alcuni fattori eventuali.
Nel mondo del jazz il nome di Django Reinhardt rappresenta ancora oggi uno dei più virtuosi e innovatori chitarristi. Nato nel 1910, di etnia sinti, riuscì a declinare il jazz innovativo alla sua influenza gitana. Creativo e tenace, in giovane età fu vittima di un grave incidente. La roulotte dove viveva prese fuoco e lui ne rimase menomato. Rischiò l’amputazione della mano sinistra (quella che lui usava sul manico della chitarra) e perse per sempre l’uso di due dita della stessa mano. Nonostante ciò, con tenacia ed esercizio riuscì a diventare uno dei più grandi chitarristi della storia.
Spesso mi è capitato di ascoltare interviste di musicisti che parlavano dei loro concerti. È incredibile quanta attenzione pongano al rischio. Rischi di origini differenti. Forse lui stesso non se ne rende conto, ma per un musicista il rischio ha la stessa importanza della preparazione. Spesso i grandi artisti sono dei perfezionisti, perché riducono il rischio di eventi negativi. Un risk manager ad alta creatività.
Intorno ai musicisti gravitano gruppi di professionisti che, oltre ad occuparsi di organizzazione e logistica, cercano di gestire il rischio. Avete mai visto quante chitarre ci sono dietro le quinte di un concerto rock? Quindici? Venti? Eppure, salvo casi eccezionali, ogni chitarrista in un concerto al massimo ne suona tre, massimo quattro. La stessa cosa succede per i microfoni, per le bacchette da batteria. Ed i plettri appesi alle aste dei microfoni? Quanti sono? Può succedere di tutto! Può saltare una corda di una chitarra; non c’è tempo di cambiare la corda e riaccordare la chitarra (magari nel bel mezzo di una canzone); quindi i tecnici cambiano al volo lo strumento. Il musicista docilmente (magari anche continuando a cantare) si lascia sfilare lo strumento e ne imbraccia un altro, ricominciando a suonare. Ma chi sceglie quale chitarra prendere in sostituzione di quella malfunzionante? Il tecnico? Il musicista? Forse…o meglio, il musicista stabilisce le regole.
Le regole, dunque. Gestire il rischio vuol dire scegliere. Ma scegliere vuol dire assumersi un rischio. Un bel dilemma, dunque! Tempo fa rimasi colpito da una frase dello psicologo Erich Fromm: “L’uomo è convinto di volere la libertà. In realtà la teme, perché la libertà lo obbliga a scegliere, e scegliere comporta dei rischi.”
Cosa succede se il Duca di Mantova si sente male qualche minuto prima di entrare in scena nel Rigoletto? Che fare se a un’ora da uno spettacolo all’aperto scoppia un temporale? Chi decide se ad un giorno da un attesissimo concerto il camion con la strumentazione viene sequestrato dalla Polizia Stradale o si perde?
Chi decide, dunque? Chi si assume la responsabilità? Chi sceglie? (Quanti punti interrogativi in questo articolo…e non è un caso!)
Mi sorprendo sempre un po’ quando mi viene chiesto un parere su un prezzo di mercato. È alto o è basso? Talvolta tendiamo ad associare ai prezzi una loro personalità: è buono, o è cattivo? Io di solito non lo so… o meglio, non lo so ancora. La bontà di un prezzo è un concetto aleatorio, labile (soprattutto considerando che dopo un’ora potrebbe avere cambiato la sua connotazione, sulla base di come si è mosso il mercato). Mi è difficile sapere se è il momento buono per acquistare energia, se prima non si conosce il rapporto che ciascuno di noi (o l’azienda per cui lavoriamo) ha con il rischio. Occorre cioè conoscere la propria “propensione al rischio”. Mi gioco tutto, non mi gioco niente, o mi gioco una parte?
Inoltre, bisognerebbe sapere l’incidenza del costo dell’energia sul proprio prodotto finito, il livello di budget presentato al management, la possibilità di ribaltare i costi sui prezzi dei prodotti… Insomma, capire se un prezzo è bello o brutto, buono o cattivo, basso o alto, verde o rosso è quasi impossibile, a meno che… A meno che non si riesca a definire quanto quel prezzo rappresenti realmente il valore del bene che prezza. Direi quasi impossibile!
Il mercato è mercato ed in genere basiamo il nostro giudizio su un prezzo paragonandolo all’unica cosa certa che abbiamo nella vita: il passato. Ma un energy manager è tenuto a scegliere per il futuro. Non sappiamo cosa accadrà domani, ma abbiamo l’esperienza del passato che ci può aiutare a stabilire delle regole. Ogni cliente è un trader con una sola leg. Corto di natura, può solo comprare. Per hedgiareuna posizione quindi sarebbe bene stabilire delle regole. Non è possibile decidere di comprare sulla base di quanto un prezzo piace o meno. Anche perché se oggi compro un prezzo in uno scenario in salita mi sembrerà brutto (essendo lo scenario in salita probabilmente sarà il più alto dell’ultimo periodo). Ma se i prezzi continueranno a salire vedrete che il valore a cui avevo comprato mi diventerà più “simpatico”.
Le regole, dunque. Eccole che rispuntano di nuovo. Senza guardare il valore a cui acquisto, ma stabilendo in quali circostanze comprare. Se il mercato si comporta in un certo modo compro, senza guardare a che livello di prezzo.
Oggi molti artisti si cimentano nei brani di Django Reinhardt, cercando di imitarne il suono e la vivacità musicale. Ma non è affatto banale! E se al chitarrista che sta suonando un Charleston di Django salta una corda, il tecnico porterà una chitarra acustica…magari una Mogar. Ma se il pezzo che sta suonando è di Joe Satriani, beh, magari ci vorrà una chitarra elettrica, magari una Ibanez con gli stessi pickup. Ma tutto questo è già stabilito, condiviso nelle regole.
Non sappiamo quando e se si romperà la corda della nostra chitarra, ma avere un algoritmo che ci aiuta a superare l’emotività del momento e a prendere delle decisioni, forse ci permetterà di concludere il nostro concerto. E alla fine sarà un successo!
Scarica l’articolo originale di Nuova Energia