di Francesco Lepre
Un giorno un nostro agente di vendita mi disse: “Vedi Francesco, io quando un problema non riesco a risolverlo, cambio problema!” Mi fece molto ridere in quel momento. Poi però, come spesso capita, quella frase buttata lì per caso si depositò come pulviscolo sul fondo dei miei pensieri e piano piano quel concetto divenne più nitido. Fui illuminato! Spesso purtroppo siamo guidati dalla nostra pigrizia e dal vantaggio immediato. Abbiamo infinite scelte nella vita e basta deviare sapientemente (e subdolamente) la nostra rotta di pochissimi gradi che alla fine ci si trova a chilometri di distanza dall’obiettivo necessario da raggiungere. Se ne accorgono in pochi all’inizio, perché la variazione è impercettibile, ma sul lungo periodo tutto è più evidente.
Lo riscontriamo in tutte le scelte che prendiamo e fa parte di quel più o meno spiccato senso di responsabilità che ciascuno di noi ha. Dalle decisioni meno impattanti a quelle che potrebbero cambiare il nostro futuro… o quello delle generazioni future. Una bella responsabilità.
Quando un problema esiste, va risolto…o almeno bisogna fare di tutto per risolverlo.
Durante il lockdown di marzo e aprile abbiamo riscoperto cosa vuol dire lasciare spazio alla natura. I delfini nel porto di Cagliari hanno fatto il giro di tutti i nostri telefonini, così come gli animali selvatici che scorrazzavano tra le strade delle nostre città. Magari anche a causa del virus che ha tenuto in scacco il nostro Paese, ma vedere quelle immagini mi ha ricordato molto un libro: I am legend (molto diverso dal film, perfino nel significato del titolo), il cui protagonista rimane l’unico uomo sulla terra a non essere stato infettato da un batterio. Il mondo di giorno è abbandonato e diviene territorio incontrastato degli animali.
La convivenza della società globalizzata con il nostro pianeta è ormai da tempo oggetto di strategie economiche sostenibili. Oggi i mercati sono cambiati moltissimo rispetto al passato e fare business è diventato sempre più complicato. In questo contesto ci viene richiesto di arricchire la società, restringendo le distanze sociali e concorrendo alla sostenibilità ambientale.
È inutile dire che, affrontando questo argomento, potremmo trovare infinite canzoni dedicate alla natura, contro l’inquinamento, contro le ingiustizie sociali, contro il depauperamento sconsiderato dei terreni. Da Neil Young a Michael Jackson, da Bob Dylan a Paul McCartney, fino ad arrivare agli italiani Jovanotti e Bertoli (consiglio di ascoltare Eppure soffia, diretta, ma anche poeticamente molto bella). Tuttavia, tanti di questi pezzi tendono a ricreare atmosfere tetre e tristi (basi in accordi minori con frequenti dissonanze mirate a esaltare la gravità del pezzo e dell’argomento trattato) con testi spesso cruenti e rabbiosi. Eppure, come già mi è capitato di scrivere, penso che mai come in questo momento ci si presenti davanti l’opportunità per virare, recuperando la nostra rotta; quei pochi gradi persi già qualche decina di anni fa che ci hanno allontanato così tanto dalla direzione giusta. È per questo che scrivendo su questo argomento ho deciso di accompagnare quest’articolo dalla sigla di un cartone animato giapponese degli anni ’80: Conan, il ragazzo del futuro (未来少年コナン). Gli episodi, scritti alla fine degli anni ’70 e tratti liberamente da un famoso romanzo, si svolgono nei nostri anni (il futuro). Si tratta delle vicende in una società di emancipazione tecnica, sviluppo sostenibile e ambizioni economiche tra stati. La storia si sviluppa in un periodo post-bellico, dopo la Terza Guerra Mondiale. La Terra semidistrutta costringe i sopravvissuti a ricominciare un nuovo sviluppo, spingendo i più audaci a convivere con la natura in modo ecosostenibile e i meno organizzati a tornare a uno stato primitivo. Sullo sfondo una grande città-stato, l’unica ancora tecnologicamente evoluta, ma caratterizzata da disuguaglianze sociali.
La sigla, cantata da Georgia Lepore, è (come molte altre dei cartoni animati) bellissima. Arrangiamenti di chitarra elettrica e basso essenziale e ritmico. Per non parlare delle tastiere e della bellissima voce.
Anche se si tratta di un cartone animato, questa atmosfera apocalittica mi ha spinto a riflettere. Quanto siamo lontani dalla rotta? Di quanto dovremo virare per raggiungere il nostro (di tutti!) obiettivo?
È già da diversi anni che molte aziende si impegnano (più o meno volontariamente, a seconda dei casi) per redigere bilanci di sostenibilità che concorrano alla propria Green Reputation e impronta sociale. Oggi esistono linee guida per comporre questo documento, che è obbligatorio solo per grandi società le cui attività abbiano effetti su molti investitori e stakeholder. In linea con uno sviluppo sempre più sostenibile potrebbe essere utile spingere sempre più aziende ad aderire a parametri di sostenibilità e impegno sociale attraverso la redazione di un bilancio di sostenibilità. Serviranno linee guida più chiare e omogenee.
Uno sviluppo economico completamente scollato dalla difesa dell’ambiante e dal sostegno sociale è ormai inimmaginabile. Questo vale per il privato, ma anche per il pubblico.
È un momento storico. Qualche giorno fa l’Europa si è riunita, trovando un accordo su 750 miliardi di euro di finanziamenti (un terzo dei quali per l’Italia, di cui 80 di sussidi e 120 di prestiti), con un indebitamento in comune di proporzioni mai viste.
Da settimane si parlava di investire i soldi che (se fossero arrivati) l’Italia avrebbe ottenuto dal Recovery Fund. I canali individuati erano quelli dedicati alla crescita economica, allo sviluppo sostenibile e alla transizione ecologica [cit. Giuseppe Conte]. Cosa c’è di meglio di essere al posto giusto al momento giusto? Abbiamo sofferto tanto negli scorsi mesi, ma adesso è ora di ripartire. Però bisogna fare presto.
Ognuno deve fare il suo. Abbiamo un parco di generazione giovane e sempre più verde. L’impegno futuro nella produzione è evidenziato nella SEN e ci porterà a un futuro senza carbone e con molto più rinnovabile.
Le industrie private si stanno sempre più sensibilizzando ai problemi ambientali e sociali. Anche lo Stato dovrà fare il suo, magari investendo in cultura e in istruzione. Talvolta nel pubblico, al contrario di quello che accade nell’ambito privato, il concetto di investimento nell’ambiente e nell’istruzione viene snaturato, attribuendogli un concetto di impegno finanziario a fondo perduto: ma non è così! Investire vuol dire impegnare del denaro oggi, per ottenerne di più domani. Uno stato ad esempio che non investe nell’istruzione dei propri bambini/giovani non ha futuro. Investire oggi nelle scuole vuol dire cominciare ad ottenere un beneficio (economico! che ci si creda o no) non prima di dieci/quindici anni? Occorre sbrigarsi quindi, perché ne vale la pena.
Dai Conan! Sulla terra c’è ancora il sole! Dai Conan! Questo mondo si può salvare!
Se un problema esiste dobbiamo impegnarci tutti a risolverlo!
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